I monologhi della discordia. "Quello che non ho" è stato un successo televisivo ma Roberto Saviano ha incassato anche critiche. Nel mirino il pezzo sull'amianto e sulle vittime dell'Eternit, ma non solo. Il primo a insorgere è stato Giampiero Rossi, autore de "La lana della salamandra" (Ediesse) che prima su Facebook e poi dalle colonne del Fatto Quotidiano si è lamentato del fatto che l'autore di Gomorra si è per così dire "ispirato" molto al suo lavoro nel monologo su La7 senza tuttavia mai citarlo.
"Ho trovato assai meno piacevole – ha scritto Rossi rivolgendosi a Saviano – una certa mancanza di riconoscimento per chi quel lavoro lo ha realizzato. Tu lo sai bene, fare un’inchiesta, una ricostruzione storica, un racconto completo di vicende complicate ed enormi, come questa, comporta davvero tanta pazienza, volontà, tempo, passione. Perché, dunque, non riconoscere a chi ha investito tanto, almeno la paternità di quel suo lavoro? Eppure non sono pochi i particolari che hai scelto di utilizzare nel tuo racconto e che, guarda caso, sono tutti presenti in quei due libri (nel primo soprattutto) e non altrove, perché si tratta di racconti, confidenze, piccole sfumature emerse dalla mia lunga frequentazione della gente di Casale".
Rossi non è l'unico ad essersi risentito: su Facebook c'è anche Davide Leporati, autore con Mirco Volpedo di "Morire d'amianto" che ha qualcosa da dire: "Se leggete anche il nostro libro, a pagina 25 – scrive Leporati rivolgendosi ai suoi contatti sul social network – viene citato in buona parte l'episodio del ‘Cremlino'. Ovviamente da qualche parte uno si deve pur documentare e la sola idea di aver contribuito anche se in una microscopica parte alla divulgazione di questa battaglia, non può che farmi sentire più che onorato".
Come se non bastasse, scorrendo le pagine di Fb gestite dai parenti delle vittime d'amianto, si registra l'amarezza di numerosi utenti su un'altra vicenda. Si tratta del caso Bagnoli: nel monologo dell'autore di Gomorra in tanti si sono stupiti perché non hanno sentito nemmeno una volta citata la storia del quartiere alla periferia Ovest di Napoli, area che con Casale Monferrrato è stata una degli insediamenti Eternit i cui dipendenti hanno registrato il maggior numero di patologie letali, come confermato dalla sentenza del tribunale di Torino. "Credo non sia giusto – scrive un commentatore – perdere un padre, due zii di primo grado, ex lavoratori Eternit di Bagnoli e due zie casalinghe per patologie di amianto, e non sentire parlare di Bagnoli e Rubiera come fossero state fabbriche mai esistite".
A ciò si aggiunge una ulteriore protesta, quella dei lavoratori del gruppo Ragosta, il cui patron ha di recente avuto guai con la giustizia (anche se le richieste dell'accusa nei suoi confronti sono state poi tutte rigettate). Saviano aveva parlato in un suo monologo a "Quello che non ho" di quella storia. E i lavoratori l'indomani gli avevano risposto: «In qualità di dipendenti delle aziende riconducibili al gruppo Fedele Ragosta siamo estremamente amareggiati – avevano scritto in una lettera aperta – per i toni utilizzati e per le deduzioni tratte dallo scrittore Roberto Saviano. Lo invitiamo nei nostri uffici e stabilimenti, certi che la conoscenza personale di ognuno di noi eliminerà ogni eventuale dubbio».
Infine, la vicenda che tiene banco nelle ultime ore: la maxi richiesta di risarcimento da 4,7 milioni di euro avanzata nei confronti dell'editore del Corriere del Mezzogiorno e della nipote di Benedetto Croce, Marta Herling, nata dallo scontro sulla ricostruzione di una drammatica vicenda della vita del filosofo. Nelle ultime ore sul risarcimento chiesto da Saviano si è duramente espressa la Federazione Nazionale della Stampa, per la prima volta schierata contro l'autore Mondadori: "La dialettica editoriale, la differenza di opinioni – scrive la Fnsi – anche quando può apparire a taluno dei protagonisti ingiusta o scorretta, va sempre in primo luogo definitiva nei media sul terreno del confronto".