Giulia Cecchettin è la 105esima donna uccisa nel 2023. La 82esima in ambito familiare. Un dramma in seguito al quale la famiglia di Giulia, col papà Gino e la sorella Elena, hanno chiesto di “far nascere qualcosa perché non accada più”, di “fare rumore” e di denunciare, sempre.
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La lettera a Fanpage.it
La mia è una storia di abusi psicologici con un narcisista passivo-aggressivo, mitomane e manipolatore seriale. Sono stata fidanzata per quasi due anni con il classico "bravo ragazzo" dalla faccia pulita, ma dalla coscienza sporca e l'animo nero.
Non era un ragazzo con una storia di degrado alle spalle, ma uno con il colletto della camicia ben stirato dalla madre. Mi veniva a prendere in macchina, mi regalava rose e weekend fuori porta, per poi arrivare a controllarmi con le telecamere in casa. Ma lo faceva per la mia sicurezza personale, per il mio bene, questo almeno era quello che lui diceva. Sì, sono abili manipolatori.
Ero prigioniera, vivevo in gabbia. Lui viveva con delle ossessioni e manie di controllo che riguardavano anche l'ordine e la pulizia. Tutto doveva rimanere immacolato e asettico, tutto riposto in ordine e con cura. Nessun quadro o un mio oggetto personale, un tocco femminile in casa. Tutto asettico, misurato al centimetro, un arredamento grigio o nero. I miei trucchi ingombravano e dovevo riporli nel mio beauty case nascosto alla vista. Venivo sgridata come una bambina perfino se spostavo l'asciugamano in bagno o per come pulivo il lavello della cucina. Quello era l'unico posto a cui potevo ambire.
Lui doveva guidarmi come se io fossi inabile alla vita. Eppure ero una donna di quasi trent'anni, laureata e che già aveva convissuto con altri in grandi città. Controllava dove riponevo le chiavi, se il mobile di vetro all'ingresso avesse delle impronte di altre persone, di possibili amanti. Vedeva nemici ovunque. Era arrivato anche a controllare i pacchi del corriere.
Voleva vivere in simbiosi, mi considerava una parte di sé, un suo prolungamento da plasmare a sua immagine e somiglianza. Doveva dire la sua su ogni aspetto della mia vita: dall'alimentazione, al vestiario. Questo, ripensandoci a posteriori, è davvero inquietante e preoccupante. Dovevo stare 24h su 24 con lui o, tuttalpiù, con la sua famiglia e i suoi amici altrettanto problematici.
Mi aveva allontanato dalla mia famiglia, alla quale riservava offese: mia madre era una donna astiosa e paranoica, mia sorella ansiosa, mio padre ingenuo e senza spina dorsale. Le mie passioni erano superficiali. Lui veniva da una famiglia benestante e colta, io dal nulla e da una famiglia di "bifolchi". Dovevo ringraziare il cielo di avere trovato lungo il mio cammino una persona colta e buona come lui, un grande amatore, mentre io ero senza arte né parte.
Le mie due lauree erano cartastraccia senza valore, io non valevo nulla; era arrivato a convincermi di ciò. Lui non aveva portato a termine gli studi, era insoddisfatto del suo lavoro, ma voleva essere venerato e seguito ovunque. Parlava male persino del mio cane.
Era geloso e possessivo, controllava i miei profili social, ma lui poteva seguire chi voleva. Io dovevo continuamente rassicurarlo e aggiornarlo costantemente sui miei spostamenti con foto o video: se saltava la connessione ed ero impossibilitata a rispondere seguivano poi delle scenate.
Ero arrivata a non comportarmi più in maniera naturale e spontanea, controllavo ogni mio movimento per il timore di una sua reazione: le mie movenze, uno sguardo di troppo, dovevo camminare con i paraocchi. Dalla gelosia morbosa, da "io sono cambiato per te", siamo passati alle sottili umiliazioni e svalutazioni, per finire con lo schiaffo sulla coscia e la spinta.
Anche il mio "mostro" sfogava la sua rabbia e frustrazione contro gli oggetti, con pugni contro il muro, la sedia lanciata. Da lì allo schiaffo e la spinta il passo è stato breve. Mi sono salvata perché lui all'improvviso ha deciso di "scartarmi", di ripormi nello scaffale come una bambola vecchia. Per poi volere tornare a giocarci per un suo capriccio, ma in quel caso ha trovato tutte le porte chiuse.
Una notte mi ha riportata a casa mia, lasciandomi in mezzo alla strada come un sacco dell'immondizia. L'ennesima dimostrazione del suo potere su di me, l'ennesima umiliazione, voleva vedermi tornare strisciare come un verme. Ma non aveva fatto i conti con la mia dignità e forza interiore, mi aveva sottovalutata nel suo delirio di onnipotenza.
Mi sono allontanata definitivamente bloccandolo sui social e stando lontana km da lui. Non mi sono più voltata indietro, nonostante i suoi messaggi, i ricatti emotivi e le minacce di suicidio.
Ed è stato questo a salvarmi: una rete di protezione, l'appoggio dei miei familiari e un percorso di psicoterapia, fondamentale per una rinascita. L'unica cosa di cui mi sono pentita è il non averlo denunciato, avrei dovuto denunciare subito gli abusi subiti, non l'ho fatto ma mi ha lasciata in pace.
Ho lavorato tanto su me stessa: ora so riconoscere i campanelli di allarme e, soprattutto, voglio bene a me stessa. Alle donne dico: allontanatevi al primo segnale, non aspettate il primo schiaffo o spinta, potrebbe essere già troppo tardi. Non tollerate aggressività verbale, svalutazioni, perché chi vi ama non vi umilia. Voletevi bene, prendetevi cura di voi stesse e lasciate queste anime dannate al loro destino.