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Il marito di Vincenza si è rifiutato per 3 volte di soccorrerla dopo le coltellate: “Non mi interessa”

Luigi Leonetti dopo aver accoltellato la moglie Vincenza Angrisani avrebbe affermato per ben tre volte “non mi interessa” quando l’operatore del 118 ha provato ad indicargli cosa fare mentre il personale sanitario raggiungeva la loro abitazione ad Andria: “È rimasto noncurante, disinteressandosi se fosse o meno ancora in vita”
A cura di Ida Artiaco
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Luigi Leonetti voleva che sua moglie, Vincenza Angrisani, morisse. Dopo che l'ha accoltellata al petto e al torace nella loro casa di Andria, lui non l'avrebbe voluta soccorrere. Addirittura, all'operatore del 118 che aveva contattato quando la donna respirava ancora avrebbe risposto per tre volte "non mi interessa" quando dall'altro lato del telefono provavano a spiegargli cosa fare in attesa dell'arrivo dell'ambulanza.

Secondo quanto riferito da Repubblica, la Gip ha scritto nell'ordinanza di custodia cautelare che Leonetti è rimasto "noncurante, disinteressandosi se fosse o meno ancora in vita". L'uomo ha ucciso la moglie il 28 novembre nell'abitazione in cui la coppia viveva insieme ai figli di 6 e 12 anni, sulla provinciale tra Andria e Corato. I due bambini erano in casa quando si è consumato il delitto, ma non avrebbero assistito alla scena.

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Tra marito e moglie le cose non andavano bene: Vincenza gli aveva appena comunicato che a partire dal 20 dicembre avrebbe preso in affitto una casa ad Andria. La donna aveva comunicato al coniuge la fine del loro matrimonio già un mese prima del delitto, dopo aver intrapreso una relazione con un collega, come avrebbero confidato i figli alle zie, le sorelle di Vincenza. Da lì il rapporto della coppia si è incrinato, con litigi, offese e ingiurie. Il 23 novembre, cinque giorni prima dell'omicidio, Vincenza era tornata tardi a casa e il marito l'aveva aggredita, facendola finire al pronto soccorso con una prognosi di 4 giorni.

Leonetti ha ammesso la sua responsabilità "senza palesare il benché minimo segno di pentimento". Ancora, scrive la Gip, "evidente si pone l’intento omicidiario, alla luce della traiettoria dei colpi, inferti alla vittima, stante anche l’altezza degli stessi e le parti del corpo", il tutto con una "fredda lucidità nel penetrare la condotta omicidiaria".

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