Il giorno in cui una valanga di detriti distrusse una scuola e cambiò la Gran Bretagna
Gaynor è una bambina di 8 anni. Quella mattina, poco prima di entrare in classe, ha salutato per i corridoi suo fratello Carl, di 7 anni, e sua sorella maggiore Marylyn, di 10. Li ha salutati normalmente, magari anche un po’ di fretta, come è normale che sia tra fratelli quando si va tutti, ogni giorno, nella stessa scuola. Comunque si rivedranno tra qualche ora all’uscita, no?
Gaynor entra in classe, saluta i suoi amici e le sue amiche, a brevissimo comincerà la lezione di matematica delle 9:30. Intanto i bambini parlano tra loro, è venerdì quindi da un lato sono stanchi per la settimana appena trascorsa, dall’altro sono eccitati per il weekend: c’è chi si mette d’accordo per vedersi e giocare dopo scuola, chi starà con i genitori, chi spera che non pioverà come ha fatto per tutti i giorni precedenti.
Quando la lezione comincia, i bambini si zittiscono, Gaynor si siede al suo banco, prende quaderno, penna, l’insegnante comincia a fare l’appello – ma, in quel momento, le luci iniziano a oscillare, si sente un rumore proveniente dall’esterno. Prima in lontananza e i bambini si spaventano ma l’insegnante dice che è solo un tuono. Poi, però, diventa sempre più forte. E, avete presente il rumore che fa un aereo quando decolla? Ecco, il suono è esattamente quello.
Un lontano rombo profondo che gradualmente si intensifica in un ruggito assordante che fa vibrare l’aria intorno e il suolo, le pareti, la cattedra, le sedie, le ossa, come un terremoto. Un terremoto? E’ un terremoto? Cominciano le prime grida di paura, c’è chi si alza spaventato, l’istinto è subito quello di mettersi al riparo sotto i banchi – solo che tutto si fa buio. Dura poco, neanche secondi, forse qualche attimo. Non è il sole che se n’è andato, non è un blackout. È una valanga che sta per abbattersi sulla scuola. Solo che quella scuola non è tra le montagne, non c’è neve. Anzi, quella valanga non assomiglia nemmeno lontanamente a quelle di neve. E’ una valanga nera, piena di liquami e detriti e sta inghiottendo ogni cosa che intralcia il suo passaggio. Come la Pantglas Junior School, la scuola dove si trova Gaynor e, con lei, altri 239 bambini, tra cui suo fratello e sua sorella.
Le mura cadono come fossero fatte di sabbia, le finestre si infrangono e i vetri esplodono da tutte le parti come proiettili. In quel momento una bambina cerca di alzarsi e correre verso la porta, ma viene inghiottita anche lei come tutto il resto della classe e della scuola. C’è una cosa che questa bambina, Gaynor ricorda ancora oggi: il braccio di un bambino della classe accanto che era passato da una fessura del muro ed era rimasto sospeso. E lei che lo teneva, gli dava dei pizzicotti sperando che quella piccola mano si muovesse. Cosa che, però, non è successa.
Viene recuperata dalla melma, una persona la tiene in braccio perché non può camminare. Le sue gambe penzolano e non reagiscono per via delle fratture. Intorno a lei, all’esterno della scuola, è pieno di sirene, ambulanze, genitori, persone che corrono da una parte all’altra urlando nomi di bambini – alcuni li riconosce, sono i nomi dei suoi compagni di classe. Gaynor viene trovata presto dalla mamma. Racconta che appena la madre si è sincerata fosse salva, viva e fuori dalla scuola, si è subito messa alla ricerca degli altri figli, Carl e Marylyn” – di 7 e 10 anni. Ma quando li troverà, per loro sarà troppo tardi. Saranno già morti, soffocati dalla valanga.
Gaynor è una dei quattro sopravvissuti della sua classe, composta da 34 bambini. Un altro, Jeff, racconta che quando è stato inghiottito dalla valanga, seppellito da tonnellate di pesante sostanza nera, è rimasto intrappolato in una sacca d’aria, che gli ha permesso respirare e non morire soffocato. Ricorda la testa di una sua compagna di classe morta appoggiata alla sua spalla, dice: “Il suo viso era gonfio e gli occhi le affondavano profondamente nella testa. L’immagine di quella bambina mi è rimasta impressa per anni”. Jeff è l’ultimo della classe a venir estratto vivo, alle 11:15 – quasi due ore dopo l’incidente. Per due ore sente le urla di alcuni bambini, seppelliti come lui – urla che, però, gradualmente con il tempo, una ad una, cessano.
La morte di 116 bambini e 28 adulti in una piccola cittadina di 5mila abitanti sconvolge il Galles e tutta la Gran Bretagna. I media ne parlano per settimane, l’opinione pubblica e le istituzioni non fanno che discutere sul come e perché sia potuto accadere un incidente simile e tra il trauma, la rabbia, le teorie, le polemiche, la frustrazione – dentro la testa di tutti c’è una sola domanda: si poteva evitare?
La storia di Aberfan e della sua miniera
1966, Galles. Aberfan è una piccola cittadina di 5mila abitanti. È molto piccola ma, in realtà, se pensiamo a come era agli inizi, a metà Ottocento, in confronto nel 1966 sembra una metropoli: quasi esattamente un secolo prima, quando venne scavata la prima miniera lì vicino, Aberfan aveva solo due cottage e una locanda frequentata da agricoltori e barcaioli. Poi negli anni la miniera ha cominciato a ingrandirsi, hanno cominciato a estrarre parecchio carbone ed è diventata un’occasione per tutte quelle persone che cercavano un lavoro e che quindi si sono trasferiti nei pressi del cantiere. Cioè, proprio ad Aberfan. Era una cosa comunissima in Gran Bretagna: durante la rivoluzione industriale attorno alle miniere nascevano villaggi e cittadine. E, appunto, Aberfan è proprio tra queste.
I cumuli e le discariche di detriti della miniera
Ma, anche se foste capitati là per caso, senza sapere nulla della sua storia, vi sareste subito accorti che lì vicino c’è una miniera.
Perché, nel verde della valle, notereste immediatamente i cumuli neri: alte e inquietanti montagne di detriti neri che si stagliano sulla città e che arrivano anche a superare i 30 metri. Immaginiamo di scavare una buca sulla sabbia. Scavando, la parte di sabbia che viene rimossa si accumula vicino al buco, formando delle montagnette. Il processo di estrazione del carbone funziona più o meno così: quando si estrae il carbone non si estrae solo il carbone, ma anche un’elevata quantità di sottoprodotti di scarto: polvere, ghiaia, terra. Tutti questi vengono addossati insieme in una sorta di discarica subito fuori la miniera.
Sulle colline sopra Aberfan ci sono 7 discariche – alcune di queste sono posizionate sopra delle sorgenti naturali sotterranee. La discarica più vicina alla città è la settima. È l’unica attiva quell’anno e nasce nel ‘58, 8 anni prima. È imponente, arriva ad un’altezza di 34 metri e contiene migliaia di metri cubi di rifiuti.
Le lamentele dei cittadini di Aberfan
I cittadini di Aberfan, in passato, hanno spesso avuto problemi con queste discariche. Negli anni inviano numerose lamentele all’azienda proprietaria della miniera, la NCB, National Coal Board, un’azienda dello Stato. Le principali polemiche riguardano il fatto che i detriti della discarica bloccano le fogne, causando allagamenti in città e che la settima discarica si trova esattamente sopra la scuola, la Pantglas Junior School. Il fatto che siano preoccupati è comprensibile: nel ‘44 parte dei detriti di uno dei cumuli era scivolato verso la cittadina, fermandosi a soli 150 metri dalle prime case. Ma, in generale, negli anni avvengono altre piccole valanghe – minori, ma comunque preoccupanti.
In tutto questo la NCB non prende nessun provvedimento e la vita continua a scorrere placida nella piccola cittadina di Aberfan. Fino al 21 ottobre.
Il cumulo 7 scende su Aberfan come una valanga
Nella notte tra il 20 e il 21 ottobre il cumulo 7 si sposta di tre metri. Alle 7:30 di mattina gli operai notano questo spostamento e danno la colpa alle piogge che ci sono state negli ultimi giorni. Lo riferiscono al supervisore e lui dice loro di fermare il lavoro per quel giorno. Già di per sé nel Galles piove spesso ma da inizio ottobre Aberfan viene colpita da continue, violenti, torrenziali piogge. Ci sono stati momenti in cui sembrava non finire mai. E i cumuli hanno assorbito tutta quell’acqua, dalla prima all’ultima goccia. C’è un altro problema, però. Alcune delle discariche, in particolare la 4, la 5 e la 7, sono posizionate sopra delle sorgenti naturali, sopra dell’acqua. Le piogge e le sorgenti naturali interne rendono i cumuli, in particolare il 7, quasi come delle montagne costituite da una sostanza che è a metà tra il liquame e le sabbie mobili. Montagne pronte a spostarsi e a scivolare da un momento all’altro.
E quel momento arriva due ore dopo che il responsabile della NCB dice agli operai che quel giorno è meglio interrompere i lavori. Cioè, quando, nella classe di Gaynor e Jeff, l'insegnante di matematica sta facendo l’appello.
Il cumulo 7, semplicemente, inizia quasi a sciogliersi. 140mila metri cubi di rifiuti iniziano a scivolare per la collina in direzione del villaggio, arrivando a una velocità di 34 km/h. Come una valanga, devasta e inghiotte tutto quello che incontra. Il tutto avviene in una manciata di minuti. In una manciata di minuti scende, si abbatte sulla scuola, su delle case e si ferma – solidificandosi all’istante. Molti testimoni raccontano che nei secondi subito dopo che la valanga si è fermata un silenzio inquietante, di morte, si è impossessato della valle, per poi essere subito rotto dalle urla strazianti dei genitori che hanno visto la scuola dei propri figli fatta a pezzi e ricoperta di quella melma nera.
Le vittime della valanga di detriti
Ancora prima che arrivino i soccorsi, gli abitanti di Aberfan si sono messi tutti a scavare. Trovano corpi ovunque e sono quasi tutti di bambini dai 7 ai 10 anni. Alcuni sono vivi, anche se feriti e traumatizzati, altri non hanno resistito alla forte valanga e sono morti o per asfissia o per fratture alla testa e nel resto del corpo. All’interno della scuola vengono trovati anche 5 adulti, insegnanti o membri del personale. Alcuni sono morti cercando di proteggere gli alunni, come Nansi Williams, l’addetta alla mensa, che ha usato il suo corpo come scudo per proteggere cinque bambini che, alla fine, sono riusciti tutti a sopravvivere proprio grazie a lei. O il vice preside Dai Beynon che ha cercato di utilizzare una lavagna per proteggere sé stesso e 5 studenti – purtroppo, però, sia lui che tutti i 34 alunni della sua classe sono morti soffocati o schiacciati dal liquame.
Ivonne Prince, una poliziotta che ha partecipato ai soccorsi, racconterà alla BBC di un preciso momento che si porta dietro da tutta la vita, probabilmente uno dei peggiori che ha vissuto in quel disastro: i corpi dei bambini, sia vivi che morti, venivano estratti e portati fuori attraverso una catena umana di persone che se li passavano a vicenda. Ha passato un bambino all’uomo che aveva a fianco, lui lo ha guardato, poi l’ha guardata e ha detto, con voce spezzata, “Era mio figlio” e poi lo ha passato alla persona a fianco, continuando ad aiutare nei soccorsi.
Nelle ore subito dopo il disastro Aberfan si riempie di volontari da tutto il Paese, soccorritori, minatori esperti, forze dell’ordine – chiunque può dare una mano, va ad Aberfan. E mano a mano che passa il tempo, aumenta il conteggio dei corpi. Gli ultimi sopravvissuti vengono estratti due ore dopo il disastro. Dopo, ci sono solo cadaveri. Molti di questi vengono posizionati in una cappella che si riempie così tanto che è permesso solo a una persona, massimo due, perlopiù genitori, di entrare per il loro riconoscimento.
L'impatto mediatico e le accuse alla NCB
La mattina del 21 ottobre la valanga nera uccide 144 persone, di cui 116 bambini, in una cittadina di 5mila abitanti. La tragedia di Aberfan, questa piccola città del Galles, risuona come un’eco in tutta la Gran Bretagna. La regina Elisabetta II va ad Aberfan il 29 ottobre per rendere omaggio ai morti e come lei, lo fanno anche altri membri della famiglia reale. I media non fanno che parlare di Aberfan, le persone non fanno che parlare di Aberfan. Ma di tutto quello che si dice, che si teorizza, si specula che si critica, c’è una domanda che risuona nella testa di tutti, soprattutto in quella delle famiglie delle vittime: tutto questo era evitabile?
Lord Robens, presidente della NCB, nella sua prima dichiarazione immediatamente dopo l’accaduto dice che l’azienda non vuole “nascondersi dietro scappatoie legali” ma che, anzi, avrebbe “collaborato con le autorità per capire il prima possibile cosa fosse andato storto”.
Parte fin da subito un’inchiesta, e poi un processo, vengono sentite 100 persone, esaminati 300 reperti e diciamo che non si tarda molto a capire “cosa sia andato storto”. La combinazione di due fattori: il primo, il fatto che il cumulo fosse posizionato su delle sorgenti naturali, quindi l’acqua si infiltrava internamente rendendolo instabile. Il secondo, le intense e continue piogge, che sono state assorbite dal cumulo. Lord Robens nega di essere mai venuto a conoscenza delle sorgenti naturali, sostiene che non fosse possibile, per l’azienda, sapere cosa accadesse “dentro la terra”.
Ma l’inchiesta approfondisce anche le lamentele che gli abitanti della cittadina avevano fatto alla NCB negli anni passati, il fatto che non fosse la prima volta che delle discariche si muovessero e che, anzi, proprio la 7, nel ‘63, quindi tre anni prima, si era già spostata per ben due volte. Allora, la NCB aveva rassicurato gli abitanti dicendo che si trattava solo di uno spostamento superficiale e che la discarica, al suo interno, se ne stava bella solida e ferma. Alla fine, tutta la responsabilità viene attribuita alla National Coal Board. Viene sentenziato che l’azienda non poteva non sapere e che le 144 morti sono il risultato di un grave, gravissimo atto di negligenza. Però, nonostante questo, nessuno viene condannato né punito.
E, anzi, la NCB si rifiuta di finanziare tutti i lavori di pulizia dai danni della valanga, tanto che i cittadini di Aberfan sono costretti a mettere una parte, 150mila sterline, l’equivalente di circa 180mila euro, prelevandola dal fondo che era stato inaugurato il giorno della tragedia per sostenere la cittadina, i sopravvissuti e le famiglie.
Il disturbo da stress post traumatico dei sopravvissuti
In moltissimi, dopo l’incidente, sviluppano problemi di salute e molti dei sopravvissuti cominciano a soffrire di disturbo da stress post-traumatico che li accompagnerà per il resto della loro vita. Come nel caso di Janice Evans: a inizio anni 2000 la sua storia ha abbastanza rilievo nei giornali nazionali. Janice ha lavorato per 30 anni in un’industria di tabacco – 30 anni in cui, dichiara, non si è mai presa un giorno di assenza. Poi, però, il suo responsabile le cambia il turno facendola lavorare di notte. Lei ci prova per sei mesi ma racconta: “è stata una vera miseria (…). Avevo incubi e non riuscivo a mangiare né a dormire”. Janice capisce che non può lavorare di notte perché il buio la porta a quel 21 ottobre quando, mentre camminava in strada con un amico, è stata investita dalla valanga e, lei è sopravvissuta, ma il suo amico è morto davanti ai suoi occhi. L’azienda, allora, di fronte a questo suo rifiuto la licenzia, ma scoppia uno scandalo. Alla fine, la situazione si risolve in via extragiudiziale e i termini rimangono confidenziali.
Janice è solo un esempio. C’è anche Jeff, che spiega di come non sia mai riuscito a sposarsi né ad avere figli per via del trauma vissuto. E che, al termine di un’intervista, se ne esce fuori con una constatazione molto inquietante: “Se sommi la data del disastro, 21 il giorno, 10 il mese e 19 e 66 per l’anno, il risultato è l’esatto numero di bambini morti”. 116.
Le conseguenze del disastro di Aberfan
Fin da subito l'obiettivo è stato quello della prevenzione, di fare in modo che una cosa del genere non potesse più capitare: come? Tra le altre cose, migliorando i controlli di sicurezza delle discariche attraverso nuove figure, regolamentando la gestione degli scarti delle miniere – per questo la NCB e la Welsh Development Agency hanno finanziato con più di 50 milioni di sterline studi sulla stabilità delle discariche delle loro miniere. Nel 1969 venne aggiornato l’Atto delle Miniere e delle Cave, un atto risalente al ‘54 che però, nella sua prima versione, non teneva in considerazione le discariche. Le modifiche hanno, tra gli obiettivi, quello che i cumuli di rifiuti delle miniere non siano una minaccia per i civili.
Il disastro di Aberfan continua a vivere nelle menti di chi in Gran Bretagna si occupa della sicurezza nell’ambito del territorio. Solo nel 2023 è stata fatta una mappa che individua nel Galles meridionale 350 vecchi cumuli pericolosi che mettono a rischio le cittadine vicine e che devono essere ispezionati e costantemente monitorati. La volontà collettiva è unanime: “non vogliamo un’altra Aberfan”.
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