Il Giorno del Ricordo, i massacri delle foibe e quegli oltre 250 carabinieri uccisi
"La cosa più importante è la necessità di ricordare quanto accaduto, di avere memoria di quello che è stato inflitto ai nostri connazionali in quel periodo così buio. Le nuove generazioni devono avere memoria: lo dobbiamo ai nostri cittadini, alle migliaia di italiani che sono morti così come ai nostri carabinieri", così il Generale di Brigata Antonino Neosi, Capo Ufficio Storico dell'Arma spiega a Fanpage.it l'importanza del Giorno del Ricordo, che ogni anno, il 10 febbraio, ricorda i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata, quando migliaia di italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia furono uccisi a partire dall'8 settembre 1943 e fino al 1947 dalle milizie jugoslave. Non solo civili ma anche militari come ricorda il Generale Neosi a Fanpage.it che parla di un periodo di terrore per gli abitanti di quelle zone d'Italia che si trovarono a scontare il solo fatto di essere italiani: "Il risultato fu drammatico e non risparmiò nessuno, non soltanto la popolazione, ma tutti coloro che in qualche modo rappresentavano lo Stato italiano, come i carabinieri con le loro stazioni che erano vicini alla gente – spiega il Generale Neosi, direttore del Museo Storico dell’Arma – ma in generale chiunque fosse italiano".
Dunque anche tanti carabinieri tra le vittime di quegli anni per i quali spesso la morte arrivava dopo atroci sofferenze, come ricorda il Geneale: "È difficile quantificare il numero di vittime che ci fu in quel periodo, anche per noi carabinieri: crediamo però che i militari uccisi non furono meno di 250, anche se come spesso accade in questi casi si tratta comunque di numeri approssimativi. Anche perché noi oggi ricostruiamo quanto accaduto ai nostri carabinieri attraverso una parte di carte che siamo riusciti a reperire col tempo – continua il Generale – perché non tutti erano carabinieri che facevano servizio nella regione di Trieste". Neosi spiega che l'infoibamento era uno dei modi in cui venivano uccisi militari e civili "ma molti sono morti perché fucilati, deportati". "In quel periodo la situazione era drammatica ovunque ma nel Nord-est la situazione è ancora più complessa perché quella parte d'Italia era sostanzialmente sotto il controllo dei tedeschi e quindi i carabinieri che rimasero al proprio posto, facendo il proprio dovere, si ritrovarono tra due fuochi – racconta – pagando il prezzo più caro. Ed è qui che ritroviamo tanti esempi di sacrificio straordinari che si accompagnano a quelli delle migliaia di italiani che sono stati uccisi e infoibati".
"Noi ricordiamo tutti i carabinieri perché è con il loro sacrificio che è stata riconosciuta la medaglia d'oro al merito civile alla bandiera dell'arma dei carabinieri, ma ci sono tante microstorie che siamo riusciti a ricostruire come quella consumatasi il 9 settembre 1943 il maresciallo Sebastiano Costanzo, comandante della stazione dei carabinieri di Comeno (che oggi è in Slovenia, a pochi chilometri da Trieste) e che risiedeva in quel centro – racconta Neosi – fu subito catturato dai partigiani titini: fu legato e portato in giro in paese affinché fosse ingiuriato da tutti, prima di essere rinchiuso in carcere e torturato davanti alla sua stessa famiglia, e poi finito con tre colpi di pistola alla nuca. Dopo alcuni giorni, il cadavere venne gettato nella vicina, omonima foiba. O il sacrificio del maresciallo Torquato Petracchi, comandante della stazione di Parenzo: anche lui fu fatto prigioniero dai partigiani titini che lo hanno percosso e poi portato insieme ad altri 25 italiani catturati, a Villa Surani: con i polsi legati con del filo di ferro spinato fu fatto precipitare nella vicina Foiba profonda 135 metri. Alla sua memoria è stata conferita la medaglia d'argento al valore militare".
"E ancora – continua il Generale – il capitano Filippo Casini, comandante della compagnia di Pola: fu accusato di tradimento dai titini, sottoposto un processo farsa e poi fucilato insieme alla moglie Luciana". "I carabinieri pagano il fatto di essere servitori dello Stato italiano – conclude Neosi – bisogna ricordare che in molti hanno combattuto con la Resistenza e sono stati uccisi anche in quelle occasioni, queste atrocità non riguardano solo Trieste e la Venezia Giulia: i nostri militari, voglio dirlo, sono sempre stati dalla parte del popolo italiano".