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Opinioni

Il Giornale in trincea: Saviano giustizialista, ma pensi al padre…

Ancora una volta la “macchina del fango” in funzione contro Roberto Saviano: stavolta è il Giornale a raccontare alcune vicende giudiziarie riguardanti il padre dello scrittore campano.
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Continuano le “scottanti” inchieste del Giornale. Stavolta ad essere oggetto delle attenzioni del quotidiano diretto da Alessandro Sallusti  è lo scrittore napoletano Roberto Saviano, o meglio, ad essere più precisi, suo padre. Secondo quanto riportato dall’articolo a firma di Gian Marco Chiocci e Luca Rocca, il padre dello scrittore si trova coinvolto in una vicenda di malasanità: i fatti, risalenti al periodo che va dal 2000 al 2004, riguarderebbero “prestazioni inesistenti, prescrizioni e ricette fasulle, rimborsi non dovuti”. Inoltre sembra che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dovrà decidere a giorni “se accorpare al procedimento riguardante il papà dello scrittore un secondo filone, nel quale vengono contestati reati che sarebbero stati commessi fino al 2006 e che vede alla sbarra gli stessi imputati per gli stessi reati”.

Il fatto in sè sembrerebbe di scarso interesse, purtroppo le notizie di procedimenti a carico di medici di base rappresentano una sgradevolissima costante nel nostro paese, se non fosse che il medico in questione è, appunto, il padre di Roberto Saviano. A leggere l’articolo si ha come l’impressione che, ad “indignare” i giornalisti de Il Giornale, non sia tanto la notizia di un reato (tra l’altro ancora tutto da dimostrare) perpetrato ai danni della Sanità pubblica quanto, piuttosto, la possibilità che l’ipotetico colpevole sia legato da rapporti di parentela ad un personaggio che ha fatto della battaglia per la legalità il proprio marchio distintivo. Sembra dar credito alla nostra ipotesi il titolo dell’articolo in questione, che recita testualmente: “E il giustizialista Saviano ha il padre alla sbarra”. Proviamo, dunque, ad abbozzare alcune considerazioni.

Innanzitutto, merita Saviano di essere collocato nell’indistinto calderone di coloro che vengono definiti “giustizialisti”? Ad ognuno andrebbe concesso il diritto di essere valutato in base alla cose che dice ed ai relativi comportamenti e non sulla base di considerazioni precostituite. Ecco, negli ultimi anni Saviano si è distinto per una tenace opera di denuncia delle malefatte della malavita organizzata, dei suoi interessi, dei suoi rapporti col mondo commerciale e col mondo della politica. Il prezzo  personale che l’autore di “Gomorra” sta pagando per il suo impegno contro le mafie è tuttora altissimo (scorta, limitazioni della libertà personale etc.). Possiamo dunque ritenere che l’impegno civile di Saviano sia etichettabile come “giustizialista”? Confondere la battaglia per la legalità con il giustizialismo non è una buona cosa.

Forse però, a ben guardare, saranno state certe prese di posizione molto ferme da parte dello scrittore su taluni atteggiamenti del Presidente del Consiglio (sul caso Ruby ma non soltanto), a fargli guadagnare, nell’ottica de Il Giornale, il titolo di giustizialista. Inoltre perché tirare in ballo Saviano per una vicenda che non lo riguarda personalmente, ma soltanto per via indiretta? Semplicemente perchè, gettando una strisciante ombra di discredito sia pure solo in virtù di una relazione parentale, si può insinuare in maniera subdola che anche le vere "battaglie" di Saviano non sarebbero nei fatti così degne di attenzione, facendo venir meno l’autorità morale di chi le conduce, visto che in fin dei conti anch’egli…

La logica di questo ragionamento però non tiene. Sarebbe come ritenere, mutatis mutandis, che le battaglie svolte contro le mafia nella Cinisi dei primi anni ’70 da Peppino Impastato siano da considerarsi come “lotte a metà”, data la manifesta collusione di alcuni suoi familiari con la malavita organizzata. Perché, in ultima analisi, cercare di  mettere in cattiva luce una dei migliori rappresentanti di quell’ Italia che non si rassegna a tacere, ma che con forza e determinazione continua a sottolineare e denunciare le brutture del nostro paese? Certo è invece che negli ultimi tempi il Giornale si è distinto per un approccio sempre più aggressivo. Partendo dal “caso Boffo”, passando per la liason della Boccassini fino ad arrivare alla foto di Nichi Vendola senza veli sbattuta in prima pagina, sono in molti a ritenere che questo tipo di giornalismo contribuisca a determinare i meccanismi della cosiddetta “macchina del fango”.

Ma c'è di più, dal momento che l’operazione sottile ma incisiva del continuo livellamento di opinioni, atteggiamenti e pratiche personali, è qualcosa di più profondo del motto qualunquista “tanto sono tutti uguali”. Tende a determinare la convinzione che, in fondo in fondo, non è possibile determinare e discernere con esattezza il “vero” dal “falso”, il comportamento moralmente retto da quello nel migliore dei casi ambiguo, perché tutti sono portatori di segreti inconfessabili, di scheletri nell’armadio che prima o poi verranno inevitabilmente scoperti. La costruzione mediatica di questa medietà indistinta e generalizzante, non permetterebbe più a nessuno di poter esprimere un fondato giudizio di valore sulle questioni pubbliche del nostro paese, poiché verrebbe a mancare il presupposto di “alterità” necessitato da considerazioni di questo tipo e tutto si ridurrebbe a mero chiacchiericcio privato. In tutta onestà non ci sembra che lo scenario prefigurato sia particolarmente allettante.

A cura di Rocco Corvaglia – Adriano Biondi

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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