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Cristina Capoccitti, massacrata a sette anni. E quella verità nascosta dalla famiglia

Il 24 agosto del 1990 la piccola Cristina Capoccitti, 7 anni, viene trovata esanime in un bosco alle pendici dei monti Ernici. La bimba ha subito un tentativo di violenza sessuale. Al centro di un giallo è la famiglia della bambina. Tra accuse reciproche e depistaggi la vicenda si conclude con la condanna dello zio. Una sentenza sulla quale si addensano ancora pesanti dubbi.
A cura di Angela Marino
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Cristina, 7 anni
Cristina, 7 anni
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A Balsorano, fazzoletto di case nell’Abruzzo aspro dei Monti Ernici, sono le 20 del 24 agosto del 1990. Cristina Capoccitti, 7 anni, detta “Biancaneve” per il suo aspetto candido e i capelli scuri, afferra un vasetto di yogurt dal frigo e avverte i genitori: “Non ci chiamate, so io quando devo tornare”. Porta via la sua cena ed esce. Una manciata di minuti dopo giacerà riversa in un bosco a pochi chilometri da casa, seminuda, sulla gola i segni di una mano e la testa fracassata da un macigno. Biancaneve, al contrario della protagonista della fiaba, non si sveglierà più.

La confessione: "L'ho uccisa io"

All'indomani della tragedia Case Castella, la frazione del paesello in provincia de l'Aquila, i vicini sono sotto choc. Una bambina è morta strangolata e massacrata con un sasso, ma non è tutto: il sangue sul corpo della bimba rivela un tentativo di abuso. La piccola è stata trovata con indosso solo la maglietta e i calzini bianchi. I pantaloncini rossi vengono trovati su una siepe vicina, gli slip, a pochi passi. All'assassinio, quantomai brutale, si aggiunge l'infamia di un tentativo di violenza sessuale. Ma l'aspetto peggiore per i cittadini di Balsorano è che l'orco, in quel grumo di vite alle pendici della montagna dove tutti sono parenti di tutti, è in mezzo a loro. La ricerca del mostro dura uno spazio brevissimo, nel giro di tre giorni dal delitto c'è un reo confesso: è il cugino 13enne di Biancaneve. Mauro è il figlio della sorella del papà di Cristina. Ascoltato in Procura, il ragazzo racconta di aver visto la piccola nel pomeriggio di giovedì 24 agosto, di averle riparato la bicicletta e di essere rimasto con lei fino a sera nella piazza del paese. Dice che alle 20 e 30 Cristina lo avrebbe invitato ad andare con lei nel boschetto per mostrargli alcuni animali. Lì la piccola si sarebbe abbassata i pantaloncini. A quel punto, il giovane l'avrebbe sgridata e Cristina avrebbe reagito scappando. Infuriato, il cugino l'avrebbe raggiunta e strangolata. Poche ore dopo il giovane riformula ancora il racconto e dice di essere stato lui a invitare la piccola nel bosco per tentare di violentarla. Lì l'avrebbe poi uccisa per evitare che raccontasse tutto.

Accuse e depistaggi

Il caso sembra risolto, c'è un reo confesso e invece, i colpi di scena non sono finiti. "L’assassino? Non sono io è mio padre". A sorpresa, Mauro sconfessa la sua prima versione e accusa papà Michele. Nel frattempo, l'audiocassetta con la confessione del ragazzo – ascoltato in Procura in assenza dei genitori e di un legale, nonostante fosse un minore – sparisce misteriosamente. Intanto il giovane si giustifica: "L’ho fatto per aiutare mio padre, ho anche tentato un paio di volte di suicidarmi, volevo bene a Cristina". Ad aggravare la posizione di Michele, arriva un'altra testimonianza pesante come un masso: è quella della moglie Giuseppa. Secondo la donna, la sera della tragedia, il marito sarebbe rincasato piangendo e urlando disperato: "Cristina e morta, Cristina è morta". Ormai per tutti a Balsorano il contadino è l'orco che ha ucciso la piccola Biancaneve, ma la storia non finisce neanche a questo punto. Inaspettatamente la moglie ritratta tutte le accuse e prende le difese del marito. Una scelta sofferta, difficile, forse, perché mette la donna nella condizione di doversi schierare con il consorte contro il figlio, cosa che però Giuseppa si guarda bene dal fare, limitandosi a scagionare il marito.

Le ombre sul processo

L'ipotesi, a questo punto, è che il ragazzo potesse essersi accusato di aver ucciso la cuginetta in seguito a un accordo con i genitori, che potrebbero averlo scelto come capro espiatorio perché non imputabile a quell'età. Ricostruzione che sottintende la responsabilità di uno o tutti e due i coniugi nel delitto. Le accuse di Mauro però sono precise: dice di aver visto il padre allontanarsi con Cristina fra i rovi del bosco e poi di aver assistito all'aggressione. Si crea una frattura degna di una tragedia: il padre ripudia il figlio, la madre sostiene il compagno e un'intera famiglia si spacca. Il contadino abruzzese intanto viene processato: emerge la presenza di una canotta con i capelli della piccola nella cesta del bucato della casa dei tre. Non finisce qui: gli investigatori ritrovano anche uno slip maschile con tracce di sangue della piccola Biancaneve. Quell'indumento apparterrebbe a Michele. Le prove sembrano schiaccianti, ma a mandare in crisi un castello accusatorio solidissimo ne spunta una nuova. Determinante. Nel processo collaterale sulla falsa testimonianza aperto a Sulmona, si dimostra, sulla base di una simulazione messa in scena sul luogo del delitto, l'impossibilità di scorgere qualsiasi movimento e figura, di notte, nel bosco, all'ora del delitto. Il test confuta la testimonianza di Mauro che, in quelle condizioni ambientali, non potrebbe in alcun modo aver visto il padre, né altri, compiere violenza su Cristina.

L'epilogo

I nuovi elementi emersi in aula proverebbero che anche le tracce organiche sugli slip appartenevano a Mauro, non a Michele. Dunque, è stato il padre o il figlio? Chi accusa ingiustamente? Chi copre responsabilità altrui? Nonostante la catena di dubbi, la revisione del processo viene negata a Michele e i giudici confermano la condanna all'ergastolo per l'omicidio della nipotina. L'uomo uscirà dal carcere romano di Rebibbia il 23 gennaio 2003 solo a bordo di una ambulanza diretta all'ospedale Pertini, dove morirà professando la sua innocenza: "Dite a tutti che non sono stato io" dirà ai paramedici nel suo ultimo viaggio. Dubbi e segreti avvolgeranno per sempre una tragedia in cui la giustizia non riuscirà mai a pronunciare una parola definitiva senza che vi si addensino ombre, in una lunghissima e intricata vicenda processuale. Accanto a Biancaneve, addormentatasi in quel bosco, a sette anni, giacerà un'altra vittima: la verità.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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