Il fratello di Maria Chindamo: “Era una donna libera e l’hanno uccisa, ora parlo di lei nelle scuole”

Il 7 settembre è stato arrestato l’omicida di Maria Chindamo, l’imprenditrice uccisa in Calabria nel 2016 dalla ‘ndrangheta e il cui corpo è stato dato in pasto ai maiali. Il fratello Vincenzo a Fanpage.it: “Ora racconto la sua storia nelle scuole”.
Intervista a Vincenzo Chindamo
Fratello di Maria Chindamo, uccisa dalla 'ndrangheta nel 2016
A cura di Giorgia Venturini
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Maria Chindamo
Maria Chindamo

Il corpo era stato mangiato in 20 minuti dai maiali. I resti delle ossa erano stati poi triturati con una fresa o con un trattore. Tutti i particolari sull'omicidio di Maria Chindamo sono emersi nell'operazione antimafia che ieri giovedì 7 settembre ha portato all'arresto di Salvatore Ascone, ritenuto dalla Procura responsabile dell'atroce delitto.

Maria Chindamo era una donna che si era opposta alla prepotenza della ‘ndrangheta. Una donna che ha difeso la sua azienda, la sua vita. Azienda e vita che facevano gola agli esponenti di spicco della criminalità organizzata di Limbadi, comune in provincia di Vibo Valentia. La sua piantagione di Kiwi la voleva la famiglia di ‘ndrangheta Mancuso, che da anni controlla questo territorio. Ma loro sapevano che lei era una "tosta"- come la definisce la ‘ndrangheta in una chiamata intercettata dai carabinieri – e che non avrebbe mai venduto.

I Mancuso invece erano decisi a voler comprare la piantagione a un prezzo stracciato e a darla in gestione a Salvatore Ascone, come rivelano alcuni collaboratori di giustizia. Questo, sapendo dei dissapori che Maria Chindamo aveva con la famiglia del marito morto suicida, era certo che le responsabilità sarebbero cadute sui parenti mentre lui avrebbe gestito indisturbato i terreni. Maria è stata uccisa il 6 maggio del 2016 davanti al suo terreno. Salvatore Ascone è finito in manette al termine delle indagini dirette dal Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.

Per anni il fratello di Maria Chindamo, Vincenzo, si è battuto per avere la verità sull'omicidio di sua sorella. A Fanpage.it ha raccontato la determinazione di sua sorella per difendere la sua azienda.

Il fratello Vincenzo Chindamo
Il fratello Vincenzo Chindamo

Vincenzo, che persona era Maria Chindamo? 

Maria sin da piccola ha avuto un carattere felice, ribelle, rivoluzionario. Affrontava i problemi della vita con grande energia e li risolveva spesso con il sorriso. Aveva una vita meravigliosa e perfetta: il marito era un grande lavoratore, tre figli splendidi, era riuscita a laurearsi. Insieme al marito aveva avviato un'azienda agricola di famiglia. Tutto con molta forza e sacrifici, c'era tanta gioia.

A un certo punto Maria però decide di volersi separare dal marito. È abituata a camminare per la sua strada nel suo percorso di libertà. Qualcosa però non va: la ‘ndrangheta e la cultura di ‘ndrangheta le si oppongono barbaramente.

Il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che ha seguito le indagini sull'omicidio, ha precisato che Maria Chindamo non viveva in un mondo normale perché fatto di regole imposte dalla criminalità organizzata. Lei che vive queste terre, come descriverebbe questo "mondo non normale"?

Qui ci sono ancora delle sacche di resistenza al vivere civile, al vivere libero purtroppo. Maria si è trovata suo malgrado in questo sistema criminale, senza accorgersene. Non ha rispettato le regole della ‘ndrangheta, era uno spirito libero. Spesso qui quando fai dei passi che vanno oltre la cultura di ‘ndrangheta, questa ti mette davanti dei paletti di tipo morale, culturale, lavorativo e violento.

Era una donna troppo forte per la ‘ndrangheta?

Dalle carte della Procura leggiamo che gli uomini di ‘ndrangheta definiscono Maria "una tosta". La donna nella concezione ‘ndranghetista deve stare a casa, deve essere sottomessa. In qualsiasi caso sempre a servizio di quell'ambiente retrogrado, maschilista e violento imposto della criminalità organizzata.

Lei il 6 maggio del 2016 è stato il primo a trovare la macchina di tua sorella con il motore acceso e con gli effetti personali di Maria all'interno. C'era sangue, ma il suo corpo non verrà mai trovato. Può raccontarci quel giorno?

Mi ero appena alzato e mi stavo preparando per andare al lavoro quando ricevetti la telefonata di un operaio di mia sorella che mi diceva che aspettava Maria, ma non c'era. Eppure la macchina era lì con il motore acceso e imbrattata di sangue. Ho fatto veramente fatica a realizzare cosa potesse essere successo perché la nostra famiglia non ha mai avuto a che fare con la ‘ndrangheta. Non abbiamo mai avuto a che fare, né tanto meno parlato, di fatti vicini alla criminalità organizzata.

Appena ho intuito che potesse essere accaduto qualcosa di grave ho subito chiamato i carabinieri e mi sono precipitato direttamente a Limbadi. Lì, davanti al cancello, ho trovando quello che mi aveva detto l'operaio: l'auto con il sangue e di Maria nulla.

Maria era stata uccisa e data in pasto ai maiali. I resti poi triturati da un trattore. È davvero incredibile pensare che una donna libera e cresciuta nella libertà sia stata vittima con questa mostruosità del volere di un tribunale clandestino.

In questi anni si è dato delle risposte su cosa potesse essere accaduto a sua sorella?

Ho cercato risposte a quel silenzio che ho trovato quel 6 maggio davanti al cancello. Un silenzio che ha fatto paura. Un silenzio che ho deciso di combattere, quindi di iniziare a raccontare quello che era successo nelle scuole. Insegno da tre anni. Raccontare la storia di Maria è anche raccontare quanto la criminalità organizzata crei un terribile contesto sociale in un territorio bellissimo.

La ‘ndrangheta ha ucciso Maria perché non voleva venderle la sua azienda agricola. Il movente dell'omicidio lo avevate già capito in questi anni? 

Le notizie sul movente della scomparsa di Maria sono sempre state un po' altalenanti tra movente famigliare e movente lavorativo legate alle terre. Nelle ultime ore abbiamo saputo che il movente è articolato e che – come ho sempre sospettato – i motivi sono entrambi.

Quando ieri giovedì 7 settembre ha saputo dell'arresto di Salvatore Ascone, ritenuto dalla Procura l'omicida, cosa ha pensato?

Non mi sono particolarmente stupito. Ho pensato che schifo di gente circola tra noi e quanto possa essere urgente cambiare la nostra terra andando a isolare personaggi del genere. Fondamentale è stato l'intervento della Stato che è riuscito ad assicurare alla giustizia il responsabile.

Lo avevi mai incontrato prima?

No, non l'ho mai incontrato.

Secondo te le indagini devono andare avanti perché ci sono ancora lati oscuri sulla vicenda?

Si è stato fatto un passo avanti nella verità di quanto accaduto. Mi auguro proprio che si intraprenda una strada di giustizia affinché i colpevoli vengano condannati alla pena che si meritano.

Oggi l'azienda di Maria va avanti. Che realtà è?

L'azienda di Maria è affidata a una cooperativa sociale che si chiama Goel Bio: ha come obiettivi l'anti-‘ndrangheta, l'etica e le coltivazioni biologiche. Si occupa diligentemente di portare avanti l'azienda di Maria in modo biologico ed etico e ottiene dei risultati brillanti nella produzione della frutta, kiwi e agrumi e nella produzione dell'olio. L'azienda di Maria continua a dare ai suoi figli la possibilità di costruirsi un futuro.

Il sogno di Maria così va avanti…

Va avanti anche se qualcuno ha cercato di interromperlo rubando gran parte dei mezzi dell'azienda qualche anno fa. Ma la comunità ha aperto una raccolta fondi a cui hanno partecipato tutti: dallo studente che ha donato 5 euro alle associazioni con più soldi. Così è stato possibile installare un sistema di video-sorveglianza nelle terre di Maria. Si è creato il collettivo "Controlliamo noi le terre di Maria Chindamo" che si assicura che i terreni continuino a essere coltivati per dare un futuro ai miei nipoti.

Quindi la società civile vi è stata vicina in questi anni? 

Sì. A fronte di un ambiente dove ancora la ‘ndrangheta riesce a fare tanti danni, c'è una società civile fatta di associazioni, le scuole e i professionisti che ci esprime solidarietà a parole e a fatti. Ormai c'è una grande famiglia che in Calabria sta accendendo sempre di più le fiammelle di rinascita.

Per ‘ripulire' una volta per tutte il territorio dalla ‘ndrangheta secondo lei cosa manca?

Manca il crederci, il crederci davvero. Operazioni come quelle della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro sono delle grandi iniezioni di fiducia, delle pulizie di grandi territori che aspettano di essere occupati dal resto della società. La società civile ha bisogno di essere incoraggiata. Per troppi anni ci sono stati dei ritardi che non hanno permesso di liberare questo territorio. Però bisogna armarsi di coraggio, di buona volontà e rioccupare territori che erano stati sottratti a una popolazione bellissima e a un territorio bellissimo che è quello calabrese.

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