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Il corpo di mia figlia. Il percorso di un padre per dirsi femminista

Un mondo che non è a misura di donna, l’esperienza di un papà che, grazie a sua figlia, sta riscoprendo il valore del femminismo: “Non esiste una regola generale, non credo almeno, allo stesso modo in cui non ne esiste una perfetta per essere buoni genitori, ma il solo fatto di esserlo significa comunque assumersi delle responsabilità nei loro confronti”.
A cura di Francesco Raiola
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Non potrò mai capire del tutto, probabilmente, quello che Ta-Nehisi Coates descrive in “Tra me e il mondo” (Codice Edizioni): la privazione del corpo, una condizione che per lo scrittore americano appartiene al popolo nero e alle donne [“(…) E anche la ragazza di Chicago lo capiva, e capiva anche qualcosa di più: non tutti sono derubati del proprio corpo in egual misura, e che il corpo delle donne è predestinato al saccheggio in modi che a me non sarà mai davvero dato sapere”].

La privazione del corpo come metodo sistematico di umiliazione e controllo da parte del potere. Non so se leggere quelle pagine qualche anno fa, quando la mia condizione non era quella di padre di una bimba, mi avrebbe provocato le stesse sensazioni che mi ha provocato oggi.

Da persona acculturata, che ha studiato, viaggiato, letto e si ritiene di visioni progressiste non ho dubbi che all’epoca mi sarei incazzato, come mi sono incazzato, in quegli anni, leggendo di violenze razziste, ad esempio, o di casi di violenza sulle donne. Eppure, benché non sia stata la nascita di mia figlia a farmi diventare femminista – come scriveva un giornalista di Jezebel qualche giorno fa -, sicuramente questa condizione mi pone in una situazione diversa e ha cominciato a farmi pensare a quello che disse il fondatore di Vice Shane Smith: “I believe the universe gave me daughters to help me understand the world better” (“Credo che l’universo mi abbia dato una figlia per aiutarmi a comprendere meglio il mondo”).

Avere una figlia femmina è la cosa più vicina al sentire su di sé l’ingiustizia di un mondo ancora forzatamente maschile e maschilista, che spesso ha in alcune donne – e la cosa mi sorprende sempre – l’espressione più assurda di questa visione. Leggere il libro di Coates, che descrive storicamente le angherie e le ingiustizie provate dai neri d’America, puntando su come il potere tenda storicamente a privarli del corpo, non può lasciare insensibili al fatto che è quello che succede alle donne ogni giorno.

Mi pongo sempre più spesso, man mano che mia figlia cresce, il problema di come sarà il mondo che troverà tra qualche anno. La mia risposta è che non sarà diverso da quello che vivo io, perché a sua volta non è cambiato molto rispetto a com’era qualche anno fa. E mi chiedo ogni giorno cosa possa fare io, invece, come padre e come uomo per cercare di far sì che almeno nel nostro piccolo mondo si crei una bolla di consapevolezza. Non esiste una regola generale, non credo almeno, allo stesso modo in cui non ne esiste una perfetta per essere buoni genitori, ma il solo fatto di esserlo significa comunque assumersi delle responsabilità nei loro confronti: una responsabilità che, sono convinto, passa dagli esempi che diamo. Credo fortemente – e lo dico senza alcuna presunzione di giustezza, né tantomeno dall’alto di studi fatti – che i bambini interiorizzino quello che fanno i propri genitori, che mia figlia si accorgerebbe se mi rivolgessi male a sua nonna in quanto donna.

Così come sono convinto che l’esempio debba essere accompagnato anche da una ricerca della propria consapevolezza e da esempi giusti per la loro età: motivo per cui credo sia giusto partire dalle basi, dalle cose ‘semplici’ come, ad esempio, la scelta delle storie da leggerle. Non solo per l’immenso piacere di ritagliarsi uno spazio tranquillo solo per noi, quello in cui io divento il cantastorie e lei la bimba a bocca aperta che si fa ripetere infinitamente alcuni passaggi o il significato di alcune parole, ma anche perché i concetti base, semplici, di rispetto, amicizia e parità, si formano fin da piccoli, come ho imparato in questi 5 anni e mezzo “sul campo” (che purtroppo è parziale, ma sempre campo è): “Ho elaborato la ferma convinzione che incontrare il libro giusto al momento giusto fosse un fatto fondamentale e necessario” come scrive anche Laura Lepetit in “Autobiografia di una femminista distratta” (Nottetempo edizioni).

Non sono diventato femminista, lo ero già, ma ho rafforzato questa condizione e cerco di educare anche me, per quello che posso, cercando di avere, e formarmi, uno sguardo più femminile al/del mondo (partendo, ad esempio, anche io dalle letture, con le autrici donne aumentate esponenzialmente in questi anni, rispetto a prima). Ma al contempo è aumentata anche la paura, perché quel problema ora non è più solo teorico e riguardando lei, riguarda me. Nonostante ciò, però, lei comincia a rassicurarmi e una delle sue frasi che mi ha più spiazzato in questi mesi è “Io sono mia, ognuno è proprietario del suo corpo”. Sto ancora cercando di capire dove l’abbia sentita e come l’abbia fatta sua.

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