“Per me la cosa più bella è svegliarmi, uscire e andare in giro a guardare. Guardare tutto. Senza che nessuno stia lì a dirmi: devi guardare questo o quello.”
È una frase di Josef Koudelka, fotografo ceco, ma è anche la frase che chiude il sito internet di Claudia Amatruda: 23 anni, nata a Foggia, studentessa dell’Accademia di Belle Arti. È una brava, Claudia, a immortalare emozioni in digitale o analogico: nel 2015 vince il primo premio nazionale di fotografia “Pane, Amore e Fantasia” del Resto del Carlino, ma soprattutto un’importante borsa di studio che le permetterà di continuare a specializzarsi e realizzare mostre fotografiche e progetti da esporre.
"Non è stato un colpo di fulmine ma mi sono appassionata lentamente alla fotografia: a quattordici anni i miei genitori, pittori, mi chiesero per la prima volta di fotografare le loro mostre per immortalarle, e così è iniziato tutto. Ad oggi, però, scattare è diventato un'esigenza: quando mi avvicino al mirino mi sento nel posto giusto, entro in un mondo che avverto mio. È un bisogno come mangiare."
La vita di Claudia, però, non è solo vittorie e soddisfazioni. Quattro anni fa iniziano le sue corse in ospedale e le file di dottori che inizialmente non capivano cosa le stesse succedendo. Ci sono voluti due anni di ricoveri per ottenere una diagnosi semi-definitiva: Neuropatia delle Piccole Fibre, Disautonomia e Connettivopatia ereditaria.
"I primi pensieri sono stati ‘Perché a me? Che fine farò? Possibile che non esista una cura? Ho paura, non posso farcela'. Il primo anno di scoperta è stato tutto così, atteggiamento super negativo, rabbia, sfiducia, panico… mi sono letteralmente chiusa in casa e non volevo fare più nulla."
Ad oggi Claudia vive con dolori continui che allevia con tonnellate di farmaci e sedute di fisioterapia. Ma dopo il primo periodo di non accettazione della sua condizione fisica decide di reagire: è nella fotografia che è riuscita a trovare una terapia in grado di andare oltre le medicine.
“La fotografia mi sta salvando la vita”, sostiene la studentessa, ed è proprio per questo motivo che ha deciso di intraprendere un percorso terapeutico il cui unico medicinale diventa la sua macchina fotografica. Per fare questo, Claudia ha dato vita ad un crowdfunding per sviluppare un progetto fotografico che vuole concretizzarsi in un libro dal titolo “Naiade”.
"Ho scelto l'autoritratto perché mi ha permesso di amarmi un po’. Attraverso la macchina fotografica posso guardarmi dentro, mentre lo specchio restituisce solo l’aspetto esteriore, cioè quello che vedono anche tutti gli altri. Per questo considero l'autoritratto (e non i selfie!) uno strumento non narcisistico: chi mi conosce sa quale sia la considerazione che ho del mio corpo, soprattutto dopo l'arrivo della mia malattia. Fotografarmi da sola è una specie di terapia contro la negazione di me stessa."
Tutto nasce tre anni fa da dieci autoritratti ambientati in piscina, l'unico luogo dove Claudia sta davvero bene. Poi, durante un Master in "progetto fotografico" della scuola Meshroom di Pescara, con l’aiuto del professor Michele Palazzi, arriva il bisogno di trasformare quei piccoli lavori in un progetto vero e proprio. Raccogliere fondi per raccontare la vita della ragazza e al tempo stesso per raccontare la sofferenza di una malattia incerta, degenerativa e senza cura.
“Sono rimasta sorpresa dalla generosità delle persone! In pochissimo tempo abbiamo superato l’obiettivo iniziale di diecimila euro ma, in realtà, questi soldi sono sufficienti per pagare solo le spese di stampa e di spedizione dei libri, oltre a rimborsare i viaggi delle prime presentazioni in giro. Dobbiamo adesso alzare l’obiettivo per raggiungere un traguardo in più…”
Lo scopo di “Naiade”, infatti, è quello di sensibilizzare circa le malattie rare e invisibili, sottolineando l’importanza dell’arte come forma di vera e propria terapia, ma soprattutto quello di sostenere la ricerca per ottenere diagnosi più precise. Attraverso l’analisi dell’intero genoma si potrebbe arrivare con il tempo ad una cura definitiva.
"Cerco di far viaggiare su binari paralleli la mia malattia e la fotografia, perché non vorrei mai che si incontrassero. La malattia mi limita molto, ma quando fotografo spingo il mio corpo oltre quel limite: sono capace di star male per giorni pur di fotografare ciò che ho in testa, senza rinunciare agli impegni presi. La mia testardaggine fa arrabbiare sempre i medici, non sono una paziente facile!"
Attraverso la prima raccolta fondi, ad oggi, ci sono ben 280 copie già prenotate e pronte per essere stampate e spedite in tutta Italia. Il libro "Naiade" uscirà a Marzo di quest'anno, data ufficiale ancora segreta, ma perché proprio questo titolo?
"Il nome del libro deriva dalle Naiadi, che sono le divinità dell’acqua nella mitologia greca. Il loro nome in greco significa ‘fluire’. Queste ninfe si trovano nelle acque dolci e sono dotate di capacità di prevedere il futuro, di profetizzare e di guarire i feriti ed i malati."
A proposito di futuro, ho chiesto a Claudia cosa si aspetti dal domani. Mi ha risposto che sì, ha paura della sua malattia in quanto imprevedibile: non sa bene cosa la aspetti, l'incertezza la distrugge perché non può fare programmi. Ogni volta che salta fuori una nuova cosa che non va deve ricominciare tutto da capo, capire ancora quali siano i suoi limiti per potersi gestire. La sua paura più grande, però, è non poter più usare braccia e mani per il dolore, ma soprattutto non vederci più.
"Sogno di svegliarmi un giorno e capire che magari è stato solo tutto un incubo. Ho fiducia nei ricercatori, senza troppe illusioni perché ho consapevolezza di quanto sia difficile far tutto senza finanziamenti, andare avanti e studiare malattie rarissime per curare poche persone come me. Sarei egoista se ti dicessi che il mio sogno più grande al momento è guarire? Poi ce ne sono altri due più banali ma difficili, nuotare con le balene e esporre le mie fotografie in una galleria di New York."
Tra dieci anni si immagina in due modi diversi, dice: uno, quello che spera fortemente, è realizzata in ambito fotografico, facendo tutti i giorni il lavoro che le piace e viaggiando senza mai fermarsi, magari con qualcuno al suo fianco che la ami davvero. L'altro, invece, è esattamente come il primo ma con la malattia di mezzo, perciò si vede in carrozzina e con altri mille problemi da sopportare, ma cercando sempre di passare la vita a far qualcosa che le piace davvero, godendosela nonostante le limitazioni.
"Non abbiate paura di chiedere aiuto. Io mi sono aperta completamente quando ho capito che era inutile nascondere tutto, e che questa esperienza poteva essere di aiuto a molti. Ho una malattia pesante, ma non le permetterò di definirmi perché sono Claudia e la malattia non è me. Ho un problema che spero si risolva, ma se così non fosse la vita vale la pena di essere vissuta al meglio delle nostre possibilità, e la forza per affrontare tutto viene per necessità. Questo è il mio riscatto, ‘Naiade' sta prendendo vita per aiutare me, e spero, per dire a tutti che non siete soli, che le battaglie si vincono insieme!"