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Il caso Di Maio e la pornografia del rumore bisticcio

Di Maio finisce in prima pagina per un messaggio che avrebbe dovuto dimostrare il suo benestare alla nomina di Marra ma alcuni giornali lo pubblicano incompleto e alla fine si scopre che il senso è esattamente l’opposto. Grillo parla di “stampa killer” e aizza i suoi. E intanto ancora una volta la giornata si spende a parlare di nulla.
A cura di Giulio Cavalli
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Si arriva al tardo pomeriggio con il solito pensiero: anche oggi s'è perso rincorrendo i rivoli di una notizia pornograficamente lanciata in prima pagina al mattino, poi smentita nel pomeriggio e diventata solo brace prima di cena. E fa niente che le braci siano tossiche e che le macerie ogni fine giornata non facciano altro che consolidare le tribù di tifo opposto: anche questo martedì si consuma su una notizia che non lo era (Di Maio che avrebbe confermato la fiducia a Marra e invece no), riaccende il machismo lessicale di Grillo (che generalizza, al solito, per quel suo feticcio della banalizzazione 2.0) e si perde l'occasione di compiere il mirabolante gesto di parlare di politica sulle pagine dei politica. In fondo, anche se potrebbe sembrare un controsenso, anche oggi il serrate le fila, da una parte e dall'altra, coagula gli opposti pubblici di ognuno e i "prodotti" intanto si continuano a vendere. I temi sostanziali? Niente, troppa fatica, anche oggi no.

Ma che senso ha riportare solo una porzione del messaggio di Di Maio su Marra (Repubblica ha riportato testualmente “Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. E’ un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”) proponendo un messaggio esattamente opposto al senso generale? Confortare, semplicemente. Nella politica che diventa agone alcuni giornalismi cedono (sia detto, più o meno consapevolmente) alla lusinga di scrivere ciò che si crede che i propri lettori vorrebbero leggere così come spesso qui da noi i leader politici perseverano nel mantenere una posizione (anche nel caso in cui si riveli fallace se non addirittura falsa) per rassicurare i propri elettori: terrorizzati dal cambiamento (o per ambizioni di potere o di mercato) ci si ostina a credere che il presente cristallizzato sia il luogo più sicuro: insinuare contro la Raggi tranquillizzerà gli anti-grillini, delegittimare la stampa  rinsalda la legittimazione degli indignati e così via in una guerra tra bande.

In tutta questa polvere (densa e malsana) analizzare i troppi tentennamenti della Giunta romana, discutere delle scelte improprie della sindaca o censurare la generalizzazione contro la stampa determina un'inevitabile iscrizione nell'albo dei detrattori negando il dibattito e, d'altra parte, contestare certo giornalismo, chiedere (almeno) una rettifica ben fatta o contestare il fragore riservato a una notizia minima (sulle bugie della nostra classe politica recente si potrebbero scrivere quintali di tomi enciclopedici piuttosto che vivisezionare il telefonino di Di Maio) ci annovera tra "gli attacchi alla stampa": la misura, di questi tempi, è un esercizio che non si nota nemmeno. 

Una trattazione e una rappresentazione della politica che mira a stimolare gli istinti più bassi dell'elettore (e del lettore) è pornografia; diventa un gioco di oscenità tra le righe che gioca sulle pulsioni e azzera i ragionamenti. Il risultato è che anche oggi tutti sono legittimati a rimanere saldi nelle proprie posizioni e riversare un po' di acredine. Poi domani si ricomincia. E il Paese, intanto, appassisce.

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