Il caso Alpi e l’omicidio di Hashi Hassan. A Fanpage.it rivelò: “In Somalia sono pronti a uccidermi”
Si era fatto quasi 20 anni di carcere ingiustamente Hashi Omar Hassan, il cittadino somalo accusato ingiustamente e poi scagionato dell'omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, uccisi il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, in Somalia.
E' morto oggi, ucciso da una bomba sotto il sedile della sua auto, nella sua Mogadiscio dove era ritornato. Una vita segnata da abusivi, complotti, terribili sofferenze, per essere stato suo malgrado al centro di uno degli intrighi più bui del nostro paese, l'omicidio Alpi – Hrovatin che ancora oggi non ha colpevoli e mandanti.
Nel 2016, pochi giorni prima che il Tribunale di Perugia lo scagionasse definitivamente dalla terribile accusa di omicidio e lo rimettesse definitivamente il libertà, ai microfoni di Fanpage.it aveva confessato che in Somalia erano pronti ad ucciderlo.
Il complotto: arrivò in Italia per le violenze subite e finì in carcere per 20 anni
Hashi Omar Hassan era arrivato nel 1998 in Italia, fu portato a testimoniare alla commissione parlamentare d'inchiesta sulle violenze dei soldati italiani nei confronti dei civili somali durante la missione di pace "Unisom", a cui presero parte i nostri militari.
A Fanpage.it Hashi raccontò di essere stato vittima di violenze da parte dei militari italiani per diverse ore. "Se ci penso mi gira ancora la testa, non voglio più pensarci" disse ai nostri microfoni.
Era intervenuto per difendere alcune donne vittime delle angherie dei soldati italiani. Ma la permanenza di Hashi in Italia prese ben presto una piega assolutamente inaspettata. Come ha ricostruito il Tribunale di Perugia, nella sentenza di assoluzione, Hashi Omar Hassan fu prelevato dall'audizione in commissione dagli agenti della Digos di Roma, all'epoca diretta dall'attuale capo della Polizia, Lamberto Giannini, e trasportato in Questura.
Lì, dopo un lunghissimo interrogatorio, fu accusato di aver fatto parte del commando che uccise Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. A testimoniarlo, secondo quello che i giudici di Perugia hanno definito un vero e proprio depistaggio, fu Ahmed Rage detto Gelle che non confermerà mai in aula le sue accuse, visto che scomparì letteralmente dalla circolazione. Solo nel 2015 rintracciato dalla trasmissione "Chi l'ha Visto?" in Inghilterra, Gelle ammise di essere stato pagato per accusare Hashi.
La famiglia Alpi non aveva mai creduto alla colpevolezza di Hassan e ne aveva sostenuto anche le spese legali. "Dovevano dare la colpa a qualcuno" disse a Fanpage.it nella sua lunga intervista a pochi giorni dalla scarcerazione.
E fece nomi e cognomi, indicando nell'ex ambasciatore italiano a Mogadiscio Giuseppe Cassini e nel faccendiere somalo Ahmed Washington gli artefici principali del complotto ai suoi danni.
Furono loro a convincerlo ad andare a Roma a testimoniare alla commissione parlamentare d'inchiesta e furono sempre loro a suggerirlo come capro espiatorio di una delle pagine più buie della nostra repubblica, l'assassinio Alpi – Hrovatin.
"Vorrei tornare in Somalia, ma sono pronti ad uccidermi"
Era un "omone" Hashi Omar Hassan, disponibile, cordiale, coraggioso nel raccontare la sua storia nei minimi particolari fornendo nomi e cognomi ed individuando responsabilità. Dopo la sentenza del Tribunale di Perugia era entusiasta di ricominciare a vivere dopo i tanti anni passati ingiustamente dietro le sbarre.
"Adesso comincia la vita" ci aveva detto al telefono subito dopo la sentenza. Ma sapeva bene che ritornare in Somalia lo avrebbe messo a rischio di essere assassinato.
Vuoi tornare in Somalia? Gli chiedemmo durante l'intervista di qualche anno fa: "Certo che voglio tornarci, ma non ora, prima devo capire come si mette. Ahmed Washington ha comprato 10 macchine da guerra (blindati ndr) ora per me è impossibile tornare. Quando Gelle ha detto di essere stato pagato, Washington si è armato, gira in macchina per Mogadiscio armato".
Aveva il quadro ben chiaro Hashi e sapeva che le sue denunce ed il fatto stesso di essere riuscito, grazie al Tribunale di Perugia, a smontare il depistaggio sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin lo avrebbero messo a rischio. Pensava però che il tempo avrebbe potuto far calare l'attenzione. A sei anni da quell'intervista a Fanpage.it ha trovato la morte proprio a Mogadiscio, con un'autobomba.
"Ilaria Alpi fu uccisa perché indagava sul traffico di armi e rifiuti"
Sapeva bene perché aveva scontato 20 anni di carcere, perché bisognava completare l'insabbiamento di tutta la vicenda che ha riguardato Ilaria Alpi. La giornalista italiana fu uccisa da un commando a Mogadiscio il 20 marzo del 1994, insieme al suo operatore Miran Hrovatin.
Era l'ultimo giorno di presenza del contingente militare italiano a Mogadiscio, in città erano rimasti solo pochi Carabinieri del Tuscania e gli uomini dei servizi segreti italiani ed americani. I due sarebbero dovuti rientrare a Mogadiscio per essere evacuati insieme al contingente italiano due giorni prima.
Si trovavano a Bosaso dove la giornalista italiana stava conducendo un'inchiesta su un traffico di armi e rifiuti tossici dall'Europa alla Somalia, attraverso l'Italia grazie ai fondi della cooperazione internazionale.
A Bosaso, Ilaria e Miran persero il volo per Mogadiscio. Come Fanpage.it ha ricostruito grazie alla testimonianza di un ex uomo dei servizi segreti italiani, l'ultima persona ad incontrare i due sarebbe stata Giuseppe Cammisa, nome in codice Jupiter, considerato da diversi documenti vicino ai servizi segreti italiani.
Jupiter si trovava a Bosaso proprio negli stessi giorni in cui c'erano i due giornalisti, come si evince da alcuni dispacci militari. Perché è stata uccisa Ilaria Alpi? Chiedemmo ad Hashi: "Devono cercare tra chi ha pagato Gelle, loro lo sanno. Lei perché è andata in Somalia? Per il traffico di rifiuti e di armi, e questa cosa esiste. Per coprire qualcosa c'è sempre un motivo, se non c'era un motivo io non mi facevo 20 anni di carcere, ma nemmeno 2 giorni". Ora, finalmente, speriamo tu possa riposare in pace Hashi.