Il cardinale Zuppi racconta come è nata la vocazione: “Anche io ho avuto dubbi e mi sono innamorato”
La lunga intervista di Repubblica al cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), è un’intensa conversazione che tocca numerosi temi, senza risparmiare nemmeno le pagine più buie della Chiesa, come ad esempio il caso Orlandi.
Dal racconto del suo passato, dal contesto familiare alla stessa decisione di diventare prete, emerge una figura fortemente umana – tema su cui insisterà a lungo nel corso dell’intervista – con le sue contraddizioni e debolezze, come tutti.
Il padre direttore dell’edizione della domenica dell’Osservatore Romano, la madre brianzola, cattolica risoluta e rigorosa, avrebbe avuto tutte le carte per essere un “figlio d’arte”. E invece, è durante il periodo dell’università che la sua vocazione fiorisce e Zuppi matura la decisione di diventare prete, a seguito dell’incontro con la Comunità di Sant’Egidio. “C’era una passione viva, radicale, spirituale, umana”, ricorda.
Eppure, nonostante dall’esterno si tenda spesso a vedere gli uomini di chiesa come sostenuti da una fede d’acciaio, senza tentennamenti né tentazioni, anche questi sono “terreni” essere umani, e come tutti gli uomini vacillano. Alla domanda se avesse mai dubbi sulla sua vocazione, il cardinal Zuppi risponde: “Certo che sì, il confronto con la propria debolezza e il peccato c’è sempre”.
La differenza sta nel contesto entro cui questo incontro-scontro avviene e nella presenza (o meno) di una comunità che sia in grado sia di comprendere e accogliere la componente umana, e quindi imperfetta, dell’individuo, sia di sostenerlo nel percorso religioso.
Allo stesso modo, dice di aver amato e di essersi innamorato, senza però che questo potesse prendere il sopravvento sulla sua fede.
Quale sia l’idea di Zuppi del ruolo dei religiosi, e in generale dei cristiani, appare presto evidente: “Il prete è sempre di strada. Il cristiano è sempre di strada. Gesù non sta nei palazzi!”. Nonostante il sempre meno tempo a disposizione, con l’aumento delle funzioni amministrative e istituzionali, per Zuppi resta fondamentale il legame con le persone, con le loro esperienze e i loro bisogni.
In fondo, nel corso del suo vescovado a Bologna, Zuppi ha più volte dimostrato di essere estremamente attento agli ultimi, facendosi portatore di continui messaggi di accoglienza e inclusione.
Emblematica la scelta, che aveva suscitato non poche polemiche, di servire in occasione della festa di San Petronio una versione dei tortellini al pollo, discostandosi dalla tradizione come gesto di apertura verso la comunità musulmana bolognese.
C’è però spazio anche per gli scandali interni al Vaticano, soprattutto dopo le dichiarazioni a La 7 di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. All’accusa per cui papa Giovanni Paolo II si sarebbe portato delle giovani ragazze in Vaticano fino a creare abbastanza scalpore da provocare l’intervento del segretario di Stato, Zuppi replica in tono deciso: “Le accuse a Wojtyla sono inqualificabili. Chi le ha pronunciate così perde credibilità. Certe ricostruzioni forse sono frutto di un cuore ferito – continua – Tanta vicinanza alle ferite, ma queste non giustificano le calunnie”. Gli uomini, e quindi anche quelli interni alla Chiesa, sono sì peccatori, “ma il Vaticano non è una banda di mascalzoni”.
E la morte? “Vorrei affrontarla da lucido, potendole dire: cara sorella morte, vieni, non mi metti paura”.