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Il boss diventato allenatore di calcio: Natale Iannì, un mafioso sulla panchina di Eccellenza

Il nuovo tecnico della Reggiomediterranea (squadra calabrese che gioca in Eccellenza) è un condannato per mafia in primo e in secondo grado in attesa del giudizio della Cassazione. Secondo gli inquirenti sarebbe un elemento di spicco della cosca Caridi-Borghetto-Zindato. Ma qualcuno, evidentemente, crede che abbia qualcosa da insegnare ai giovani calciatori.
A cura di Giulio Cavalli
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L'hanno arrestato il 29 ottobre del 2010 nell'operazione "Alta tensione" della Squadra Mobile di Reggio Calabria. Nello smantellamento della cosca “Caridi-Borghetto-Zindato” finisce anche Natale Iannì che, insieme a Eugenio Borghetto, guidavano la squadra di Serie D Valle Grecanica, rispettivamente nel ruolo di allenatore e direttore sportivo. Di quelle ore rimane la fotografia di loro due ammanettati mentre sorridono sornioni davanti alla telecamera, come davanti ai propri tifosi. La Dda di Reggio Calabria invece non ha dubbi: secondo gli inquirenti Borghetto sarebbe a capo della cosca mentre Natale Iannì nel sodalizio mafioso rivestirebbe un ruolo di primo piano. In primo grado "l'allenatore" Iannì si prende una condanna a 15 anni di reclusione, con tanto di contestazione del 2 comma dell’articolo 416 bis mentre in appello la condanna scende a 9 anni 6 mesi e 20 giorni.

Mafioso, quindi, secondo i primi due gradi di giudizio, in attesa della conferma della Cassazione: Iannì è stato in carcere per molto tempo fino alla recente scarcerazione in attesa dell'ultimo grado di giudizio. E proprio in questa parentesi di semilibertà che la A.S.D. Reggiomediterranea (squadra di Reggio Calabria che gioca nel girone A del campionato di Eccellenza) ha deciso di affidargli la panchina, incurante della condanna in attesa di conferma. E ci sarebbe da chiedersi se davvero vale la pena (in un tempo già di per sé abbastanza grigio per la FIGC) affidare una squadra composta soprattutto da ragazzi giovanissimi a chi, al di là dell'ambito prettamente calcistico, forse ha qualcosa da spiegare e, forse, da scontare.

Da incorniciare le giustificazioni del presidente della squadra Bruno Leo che candidamente dichiara: "Abbiamo valutato tutti gli aspetti e come sempre abbiamo agito con la massima onestà, perché non credo che chi ha sbagliato, pagando di persona, una volta uscito fuori dal carcere debba essere schivato da tutti e non gli si possa dare le opportunità per riscattarsi". Tutto bello, per carità, peccato che il riscatto, in Italia, dovrebbe avvenire durante la detenzione e lo sconto della pena e non a piacimento di un presidente di una squadra di dilettanti. "Tra l’altro il signor Iannì, durante la carcerazione ha iniziato un percorso di studi che tra poco lo porterà a conseguire la laurea in giurisprudenza", ha aggiunto il presidente. Poi che Iannì continui a professarsi innocente in un processo che fin qui lo vede colpevole evidentemente è solo un dettaglio.

Marco Di Lello, segretario della Commissione Bicamerale Antimafia e Presidente del Comitato Mafia e manifestazioni sportive ha dichiarato che "è impensabile che un condannato per mafia possa essere tesserato della Figc, e ancor più che possa guidare una squadra che nell' allenatore deve riconoscere un modello". Ed è difficile dargli torto.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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