Il “bimbo di Chernobyl” torna in Italia con la famiglia: la storia di Dimitri e del “nonno” Artemio
"Per me è stato normalissimo ospitarli", ci racconta Artemio Berto, pensionato, ex consigliere comunale e Alpino residente a Saonara nei pressi di Padova, "anzi, ancora nel 2014 quando la Russia aveva invaso la Crimea gli avevo detto che se avessero avuto problemi io ci sarei stato".
La loro storia, quella della famiglia di Dimitri e quella di Artemio, è legata da un doppio filo indissolubile. Nel 1997, Dimitri Bratina, oggi 34enne, programmatore informatico, era giunto a casa di Artemio per l'estate, beneficiando del programma di salute chiamato "bambini di Chernobyl", che permetteva loro di stare alla larga dalle radiazioni nucleari almeno durante il periodo estivo. Lui era stato accolto da Artemio e la sua famiglia.
Ci racconta Dimitri: "Due settimane prima dell'invasione russa, Artemio ci aveva chiesto se volevamo venire qui da lui, ma noi pensavamo fosse solo l'ennesimo tentativo russo di fare paura agli ucraini. Poi, quando è iniziata l'invasione, fortunatamente ci trovavamo già in macchina nella regione dei Carpazi e così, siamo riusciti ad attraversare il confine e venire qui".
Sua moglie Alexandra Lykhogrud, architetto di professione, ci racconta che sogna di poter tornare a Kiev: "Mio marito riesce a lavorare in smart working ma io invece, ho l'ufficio in città. Speriamo che la guerra finisca presto per poter tornare a casa e ricominciare".
I loro familiari sono sparsi per l'Europa, alcuni di loro si trovano ancora sotto le bombe in Ucraina. I volti di Dimitri e Alexandra sono sorridenti perché la loro bambina di quattro anni è in salvo grazie al grande cuore di Artemio e di sua figlia, che hanno messo a disposizione un appartamento per loro. Ma nei loro pensieri ci sono i familiari e la speranza che tutto questo possa finire. "Ci siamo sempre tenuti in contatto" dice Dimitri parlando del "nonno" Artemio, "ha un cuore grande".