Il 10 maggio del 1933, quando i nazisti diedero i libri alle fiamme
Quando si giunge a Bebelplatz, nel quartiere Mitte di Berlino, si sa che ci si troverà di fronte ad un monumento estremamente significativo; ma la sensazione che quest'opera così particolare provoca, non è facile né da descrivere né da classificare. Che poi è l'effetto che molti luoghi della città tedesca creano a chi ci si trovi a passare: un costante monito alla bestialità che il genere umano può raggiungere, sfiorando punte drammatiche, qualora si verifichino particolari condizioni; un frequente richiamo, di contro, alla solidarietà tra popoli e all'aspirazione verso un mondo tollerante e pacifico. La memoria di un cattivo passato che sia, quanto meno, utile per un radioso futuro: grandi valori che, purtroppo, talvolta si scontrano contro gesti ignobili quali i festeggiamenti per il compleanno di Adolf Hitler o contro le minacce di un neonazismo che dà, di tanto in tanto, dei segnali di crescita.
Il monumento di Bebelplatz va cercato, non salta all'occhio, soprattutto se, cosa del resto frequente nella fredda metropoli tedesca, un manto di neve ricopre il pavimento della piazza. Poi, una volta che lo si è individuato, stupisce per la sua semplicità ed intensità, così discreto ed intimo ma al contempo energico nel trasmettere il proprio drammatico messaggio. Da un pannello luminoso appoggiato a terra è possibile vedere una camera piena di scaffali bianchi vuoti: in memoria del rogo in cui vennero bruciati circa 25000 libri ed immagini dai nazisti il 10 maggio del 1933.
Quando una consistente parte di umanità, più o meno consapevolmente, si avviava tramite quelle fiamme nel fuoco dannato del nazismo e della seconda guerra mondiale. Accanto una targhetta che riporta una frase di Heinrich Heine "Quando i libri verranno bruciati, alla fine verranno bruciate anche le persone". Una triste profezia che quegli uomini invasati avrebbero realizzato di lì a poco, quella che aveva fatto il poco più che ventenne poeta tedesco nel 1821.
Tutto dunque cominciò in quella piazza, al tempo Opernplatz, dove si affacciava il Teatro dell'Opera di Berlino, sotto il vigile sguardo di Joseph Goebbels, l'abile Ministro della Propaganda, che pronunciò un discorso contro quelle forme di cultura "degenerata" ad una folla di 40 000 uomini che, già con il semplice ascolto, si stava rendendo correa di una delle più grandi colpe dell'umanità. Le urla della piazza, sovrastavano la voce del capo: l'esaltazione e l'eccitazione erano ai massimi livelli. Numerosi furono i roghi che si svolsero in tutte le principali città tedesche, ma quello di Berlino fu il più importante e spettacolare, nonché quello organizzato con maggiore cura dei dettagli, affinché potesse servire da esempio a tutti gli altri centri del Reich.
Il nazismo era estremamente sensibile alle cerimonie con spiccati aspetti religiosi e mistici, ragion per cui si badò a rendere l'evento particolarmente evocativo: canti, musiche, scenografie ed illuminazione facevano da cornice alla triste marcia funebre dei volumi accumulati che entravano nella piazza per essere distrutti per sempre. Accatastati sopra dei camion, i libri furono cosparsi di benzina e dati alle fiamme, con l'aiuto di tecnici e pompieri, alla presenza anche di professori in toga, giovani studenti, soldati dell SS e delle SA.
Le opere che vennero soppresse in quella notte dell'orrore erano tutte quelle che riportavano teorie marxiste, che esaltavano il valore della Repubblica di Weimer, che attaccavano i fondamenti della morale e della religione, che presentavano rimostranze rispetto al valore militare germanico, che erano critiche nei confronti della guerra, che erano caratterizzate dal pacifismo. Ma questo non bastò alla cecità e alla crudeltà di quella notte: divorati dal fuoco furono anche gli autori di sinistra come Bertold Brecht e quelli che con sguardo lucido tratteggiavano la società borghese come Heinrich e Thomas Mann, gli scienziati contrari al nazismo come Albert Einstein e, naturalmente, tutti gli scrittori ebrei o di origine ebraica, primo tra tutti Sigmund Freud le cui opere, che ponevano in risalto come aspetti dell'irrazionalità dell'individuo quali la sessualità ne influenzassero i comportamenti, vennero considerate altamente pericolose, in una società in cui il sesso era considerato uno mero strumento per la riproduzione e, dunque, per la formazione delle leve dell'esercito.
Possiamo solo immaginare le urla, la confusione, la follia delirante che, in quelle ore, regnavano ad Opernplatz: l'immensa quantità di uomini, i camion, i roghi, le croci uncinate, i giovani in divisa. Oggi, a Bebelplatz, invece, si va per riflettere dinanzi a quel monumento così silenzioso e poco appariscente ma terribilmente toccante: l'opera di uno scultore israeliano, Micha Ullman, che fu inaugurata nel maggio del 1995. Scaffali vuoti, come il vuoto e il silenzio che quelle fiamme, in quel drammatico 10 maggio si lasciarono alle spalle.