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Talebani a Kabul: le ultime news sull'Afghanistan

“I Talebani vogliono ucciderci perché vendevo ciotole agli italiani”: la drammatica lettera di Omid

“Mi chiamo Omid, ho 29 anni e una moglie che mi ha benedetto con tre splendidi figli. Arsh, il più piccolo, ha un anno e ha appena imparato a camminare. Ora rischiamo la vita. Per i talebani la nostra colpa è stata vendere ciotole e utensili ai militari italiani nel Camp Arena di Herat. Ci chiamano ‘collaborazionisti’. Aiutateci”. Pubblichiamo l’appello di Omid. Ogni mattina all’alba va all’aeroporto e cerca di mettere in salvo su un aereo la sua famiglia, ogni sera torna nel suo nascondiglio come un “topo”. Il 14 giugno ha fatto richiesta di asilo in Italia. Deve essere accolta subito, prima che sia troppo tardi.
A cura di Stela Xhunga
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“Mi chiamo Omid, ho 29 anni e una moglie che mi ha benedetto con tre splendidi figli. Arsh, il più piccolo, ha un anno e ha appena imparato a camminare. Ora rischiamo la vita. Per i talebani la nostra colpa è avere venduto utensili domestici ai militari italiani”.

Omid è stato minacciato di morte insieme alla sua famiglia dai talebani perché dal 2007 al 2021 il suo negozio ha venduto utensili domestici e prodotti di artigianato al contingente italiano TAAC-W di base a Herat. Parla al telefono con paura, teme di lasciare tracce e che qualcuno scopra il nascondiglio che ha trovato a Kabul. Ogni mattina si reca in aeroporto, corrompendo i poliziotti dei check-point per far passare anche la moglie e i figli, non soltanto lui. Ogni sera torna nel suo nascondiglio, come un “topo”, sperando nell’indomani.

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Ha abbandonato la città di Herat, dove era proprietario di un piccolo negozio di artigianato, proprio nel Camp Arena, dove il contingente italiano faceva base. L’8 giugno il ministro della Difesa Lorenzo Guerini volò per l'ultimo ammainabandiera. Ora l’intera area è in mano ai talebani, che hanno già iniziato a stilare la lista dei “collaborazionisti”. Ma i collaborazionisti, secondo i talebani, non sono solo i cooperanti, gli attivisti, i militari e i membri del corpo diplomatico, come pensiamo noi in Italia. “Collaborazionisti” sono tutti coloro che sono entrati in contatto con i militari italiani, fosse anche vendendo loro una ciotola di argilla.

Il 14 giugno Omid ha fatto domanda di asilo politico in Italia ma ad oggi nessuno gli ha risposto. Gli uffici dell’ambasciata sono stati evacuati, il loro telefono è fuori servizio e nessuno dei militari italiani sembra riuscire ad aiutarlo.

Pubblichiamo il suo appello disperato affinché qualcuno delle istituzioni si accorga c’è anche lui tra i tanti “collaborazionisti” che l’Italia, con la voce di Mario Draghi, ha promesso di accogliere.

“Mi chiamo Omid, ho 29 anni e una moglie che mi ha benedetto con tre splendidi figli. Arsh, il più piccolo, ha un anno e ha appena imparato a camminare. Ora rischiamo la vita. Per i talebani la nostra colpa è stata vendere ciotole e utensili ai militari italiani. Pensavo di riuscire a dare un futuro ai miei tre figli di 6, 4 e 1 anno, invece ho paura di non riuscire a proteggerli nel loro presente. Avevo un negozio di artigianato a Herat, la mia città, dentro la base italiana, il Camp Arena. Dal 2007 al 2021, ho venduto ai militari italiani del contingente TAAC-W bicchieri, ciotole, e altri utensili di casa. Per gli italiani ero un “contractor”, offrivo loro un servizio. Oggi io e la mia famiglia rischiamo la vita per questo. I militari italiani che mi chiamavano “contractor” oggi non ci sono più e al loro posto ci sono i talebani. Il 14 giugno ho fatto richiesta di asilo in Italia per mia moglie, i miei figli, e me. Nessuna risposta. Ho lasciato Herat, la mia città, come un topo, perché i talebani mi hanno minacciato di morte. Mi chiamano “collaborazionista”. In città tutti conoscevano il mio negozio e non potevo nascondermi. Ho trovato nascondiglio a Kabul. Ogni mattina all’alba vado in aeroporto e do soldi ai poliziotti dei check-point per far passare mia moglie e i miei figli. Il più piccolo ha 1 anno, ha da poco imparato a camminare. Passa ore sotto il sole, tra la polvere e gli spari in aria dei militari che cercano di fare ordine. Ogni sera torno nel nostro nascondiglio come un topo e prego Dio nell’indomani. Non so per quanto riusciremo  nasconderci. Vi supplico, aiutatemi. Accogliete la mia richiesta di asilo. Dio vi benedica tutti”.

La sua richiesta deve essere accolta subito. Prima che sia troppo tardi. 

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