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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“I soldati israeliani che umiliano e uccidono i palestinesi non sono diversi dai fascisti di casa nostra”

È da pochi giorni arrivato in libreria Gaza davanti la storia dello storico Enzo Traverso, edito da Laterza. Un saggio agile dove l’autore, che si è occupato a lungo di storia dell’antisemitismo e dei fascismi, presenta le sue tesi sulla guerra in corso con grande chiarezza. “Non possiamo ancora fare la storia della guerra a Gaza ma la storia ha da dirci molte cose su quanto sta accadendo, e sulle mistificazioni dei media e della classe politica occidentale”.
A cura di Valerio Renzi
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Enzo Traverso insegna alla Cornell University nello stato di New York, storico tra i più autorevoli del nostro tempo, con il suo ultimo libro Gaza davanti alla storia prende posizione sul conflitto in corso, interrogandoci sulle radici del conflitto e sulle sue conseguenze, sulla cattiva coscienza dell'Occidente e sulla realtà di quello che sta accadendo dietro la coltre di propaganda di guerra.

Questo è il primo libro di "occasione" che scrive. È la prima volta nella sua carriera accademica e di saggista che un evento contemporaneo la porta a mandare in libreria un libro d'intervento, per prendere posizione. Come nasce?

L'ambizione era quella di distaccarsi dalla strettissima attualità per ripensarla in una prospettiva storica più ampia, cercando di dominare l’emozione e introdurre elementi di riflessione critica. Non è nelle mie abitudini scrivere instant book, ma è accaduto che ho scritto un testo che era troppo lungo per essere pubblicato in una rivista, e allora mi sono detto che valeva la pena trasformarlo in un piccolo libro. Ne è nato un piccolo saggio che prova a rispondere a una domanda molto forte non soltanto di conoscenza, ma anche di riflessione su quanto sta avvenendo a Gaza.

Un libro che non ha il distacco dello storico ovviamente, con quale sentimenti lo ha scritto mentre ogni giorno dalla Striscia arrivavano nuove terribili notizie?

Ho scritto questo libro un po' con emozione e un po' con rabbia, che ho cercato di contenere. Quindi spinto da sentimenti che abitualmente non accompagnano il lavoro degli storici, per il quale serve distacco, dati, fonti accessibili. La storia della guerra a Gaza deve essere ancora scritta, ma possiamo chiedere alla storia di dirci qualcosa su quello che stiamo vivendo.

Le accuse di antisemitismo sono un leit motiv costante del dibattito pubblico sulla guerra a Gaza. Dal suo punto di vista di storico dell'antisemitismo e dei fascismi, cosa c'è di vero?

Sull'antisemitismo esiste una sorta di cortina fumogena, che ha completamente travisato la natura, il significato e la storia di questo fenomeno e credo che i media abbiano una responsabilità importante in questo. L'antisemitismo esiste e va combattuto in modo intransigente ogni volta che si manifesta, ma va compreso nelle sue reali dimensioni. Se pensiamo all'antisemitismo della fine dell'Ottocento e della prima metà del Novecento, parliamo di un fenomeno che aveva una vasta influenza, un radicamento e una diffusione incomparabilmente più grandi rispetto all'antisemitismo di oggi.  Nella prima metà del Novecento tutta la destra era antisemita. L'antisemitismo è stato una delle fondamenta dei nazionalismi europei. Questo antisemitismo si traduceva in legislazioni e dispositivi legali di discriminazione e di esclusione; negli anni Trenta, l'Europa intera ha conosciuto una proliferazione di leggi antisemite.

Vuole dire che l'antisemitismo oggi è un fenomeno marginale?

Non dico che questo tipo di antisemitismo sia scomparso, e penso che tra gli elettori di Fratelli d'Italia ci siano sicuramente persone che coltivano dei pregiudizi antisemiti, ma oggi l'antisemitismo è diventato un pregiudizio, non una forma di discriminazione. Nessuno può dire seriamente che gli ebrei nell'Unione Europea siano discriminati, o rappresentino una minoranza esclusa, a differenza di altre minoranze (basti pensare alle conseguenze in Italia di una legge sulla cittadinanza che esclude almeno un milione di italiani). Ma il problema è più complesso. C’è un discorso che utilizza stereotipi antisemiti e che si traduce talvolta in forme di ostilità nei confronti degli ebrei, che potremmo chiamare una nuova giudeofobia, ed è il prodotto del conflitto prima arabo-israeliano e oggi israelo-palestinese. Trasferisce i conflitti del Medio Oriente in Europa, nel mondo occidentale, negli Stati Uniti ed è particolarmente diffuso in seno alle comunità musulmane. In Francia questo fenomeno è percepibile; si tratta quindi di una forma di antisionismo o di critica di Israele che prende forme antisemite e ovviamente va combattuta. Ma va combattuta avendo coscienza della sua natura, che è qualcosa di molto diverso rispetto all'antisemitismo tradizionale.

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Siamo di fronte credo a un fraintendimento molto pericoloso, che vede la sovrapposizione e l'identità ebrei, comunità ebraiche, Stato di Israele, governo di Israele, quando sono quattro cose molto differenti…

Volevo venire esattamente a questo punto. L’assimilazione degli ebrei al sionismo, e degli ebrei della diaspora allo stato di Israele crea equivoci e forme di giudeofobia o di nuovo antisemitismo. Alla fine dell'Ottocento il movimento socialista aveva coniato una formula per molto versi ancora attuale "l'antisemitismo è il socialismo degli imbecilli". Gli “imbecilli” pensano di criticare il capitalismo lottando contro gli ebrei, visti come rappresentanti del capitale finanziario, delle élite cosmopolite, ecc. Questo corto circuito si esprime oggi in altre formule, per esempio. Oggi il “socialismo degli imbecilli” è quello di chi è convinto di opporsi  alla politica israeliana di distruzione di Gaza scrivendo graffiti antisemiti sui muri di una sinagoga o di una scuola ebraica. Questa forma di antisemitismo nasce dall'equivoco di identificare una minoranza religiosa e diasporica con lo Stato di Israele. Un equivoco che, bisogna aggiungere, viene costantemente legittimato e rafforzato dai media e dalle stesse istituzioni ebraiche, che spesso agiscono come filiali delle ambasciate israeliane. Molti sionisti non vogliono vedere nessuna differenza tra Israele e gli ebrei.

La sinistra non è immune da fare confusione, o sbaglio?

È un lavoro necessario di chiarificazione che non so fino a che punto sia stato fatto, ma che la sinistra deve assumere come uno dei suoi compiti. Se accettiamo l'idea di sovrapporre tutti gli ebrei della diaspora alle politiche del governo dello Stato di Israele, finiamo per legittimare altre forme di discriminazione ed esclusione, come chi vuole colpire tutte le minoranze immigrate o mussulmane come antisemite, quando sono in realtà vittime di un razzismo sistemico.

Il tuo libro è scritto con estrema chiarezza, ogni parola è usata con grande precisione e attenzione. Una delle cose che spieghi è che questo conflitto avrà conseguenze di lungo periodo, anche perché l'Occidente ha contribuito in maniera determinante a far perdere di credibilità allo stesso ordine mondiale di cui ha disegnato l'architettura dopo la Seconda Guerra Mondiale…

L'Occidente si sta discreditando in maniera radicale di fronte al cosiddetto Sub Globale, perché Israele è parte integrante del suo ordine mondiale sempre più contestato e precario. Mi sembra che le classi dirigenti si stiano comportando in modo estremamente miope, non capendo di star raggiungendo un punto di non ritorno. Io vivo e insegno negli Stati Uniti. Qui ci si chiede come mai Joe Biden si stia alienando le simpatie non solo delle minoranze musulmane (che pure sono decisive in stati chiave come il Michigan per le prossime elezioni di novembre), ma anche di tanti giovani che abitualmente votano democratico e degli stessi ebrei di sinistra. Non c'è un appuntamento pubblico in cui qualcuno non si alzi per sventolare una bandiera palestinese chiamandolo "Genocide Joe".

Perché questo avviene, è solo un riflesso pavloviano per il quale gli Usa (o l'Occidente) devono stare con Israele senza se e senza ma o c'è altro?

Non c'è dubbio che, soprattutto nel caso americano, c'è una lunga tradizione che prevede la difesa di Israele come uno dei cardini della politica estera statunitense. Ma qua si tratta di condannare una guerra brutale e un genocidio. La difficoltà a "mollare" Netanyahu ha anche delle basi materiali: c'è una una tale integrazione tra ricerca, industria e macchina militare americana e israeliana che scioglierla richiederebbe scelte politiche coraggiose, un cambio di direzione netto. È sotto gli occhi di tutti che a Gaza i palestinesi vengono uccisi ogni giorno con armi americane, e per questo il movimento contro questa guerra è così forte e così radicato negli Stati Uniti, perché non si tratta solo di esprimere solidarietà, ma di inceppare materialmente la macchina bellica di cui ci si sente responsabili come cittadini. Da questo punto di vista il parallelo con la guerra del Vietnam è pertinente.

Nel tuo libro affronti anche la lettura di uno slogan molto presente nelle manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese, "From the river to the sea Palestine will be free". Chi lo intona è spesso accusato di voler distruggere Israele e i suoi cittadini…

Questo slogan nato in Palestina ha tutta una serie di varianti, per esempio "From the river to the sea everyone must be free", o ancora "From the river to the sea what we want is equality". Ora io trovo che sia abbastanza paradossale istruire un processo, un'ccusa di antisemitismo nei confronti dei giovani che lanciano questo slogan in un momento in cui "from the river to the sea" gli unici ad avere diritti sono gli israeliani e in un momento in cui lo Stato di Israele dice chiaramente attraverso i suoi dirigenti che uno stato palestinese non deve esistere. Quindi quale alternativa esiste, "From the river to the sea only Israelis must be free"? In realtà dietro questo slogan c'è una posizione strategia che condivido: tra il Giordano e il Mediterraneo vivono 14 milioni di persone che sono 7 milioni di israeliani e 7 milioni di arabi palestinesi, devono tutti essere liberi, e per essere liberi occorre mettere fine ai presupposti sui quali si è costruito lo Stato sionista. Alle origini, il sionismo era molto eterogeneo, con tendenze diverse che andavano dalla sinistra marxista all’estrema destra vicina al fascismo, e alcune difendevano anche il binazionalismo. Ma è una di queste componenti ad essersi imposta sulle altre. Questo slogan indica che bisogna ripensare l'assetto istituzionale, giuridico e politico di questo territorio, facendone uno stato binazionale che garantisca la completa pienezza dei diritti a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalla loro religione, dalla loro lingua, dalla loro cultura e dalla loro origine etnica. Un principio che qualsiasi democratico dovrebbe sostenere.

Perché si fatica così tanto a riconoscere che le immagini che ci arrivano da Gaza ci raccontano di una distruzione completa della società palestinese e di una violenza brutale, genocidiaria come spieghi nel tuo libro…

Non sono un esperto di sondaggi e di mezzi di comunicazione, ma la mia impressione è che le nostre opinioni pubbliche siano largamente contro la guerra a Gaza, contro le distruzioni e i massacri di civili. Chi vuole mascherare o nascondere l'evidenza dei fatti sono i governi (con alcune eccezioni, come la Spagna, l’Irlanda e la Norvegia). E poi insisto su questo punto, anche i media hanno delle responsabilità, presentando sistematicamente Hamas come l’incarnazione della barbarie e Israele come vittima. Hanno un un modo di presentare gli avvenimenti, di descrivere la guerra e presentare le posizioni di Israele che non è quello percepito dalla gran parte dell'opinione pubblica…

L'eccezionalismo di Israele come "unica democrazia del Medio Oriente" e dell'IDF come l'esercito "più morale del mondo" è definitivamente archiviata nella coscienza collettiva? 

Non possiamo continuare a presentare Tsáhal come l'esercito di chi si batte per l'indipendenza e la sopravvivenza di un popolo perseguitato, come se i suoi soldati avessero il tatuaggio di Auschwitz sul braccio. Molti di questi sono giovani che ben poco distingue dai nostri fascisti che si esibiscono e mostrano i muscoli prendendo a pugni i neri o gli arabi. Quando vediamo le immagini dei soldati israeliani che si divertono umiliando degli adolescenti palestinesi e ridendo tra le macerie di Gaza, queste immagini ricordano le fotografie della Wehrmacht sul fronte orientale. Questo mutamento antropologico è avvenuto in Israele, bisogna prenderne atto e chiederci come è stato possibile.

Il suprematismo, il millenarismo biblico, l'estrema destra dei coloni e quella religiosa ha preso il sopravvento in Israele. Ma fuori? Tu hai a lungo studiato proprio l'intellettualità ebraica tra Ottocento e Novecento…

Nell'ambito della tragedia che stiamo vivendo, esistono risvolti positivi. La guerra e il genocidio a Gaza hanno rivelato la vivacità di una tradizione ebraica, cosmopolita, internazionalista, antirazzista e umanista. Sono colpito dalla presenza delle organizzazioni ebraiche nelle mobilitazione contro la guerra, che qui negli Stati Uniti è tutt'altro che trascurabile.

Ti sei occupato anche di Shoah e delle origini della violenza del nazismo. La memoria dell'Olocausto come fondamento delle nostre società democratiche sta venendo meno a causa della difesa a spada senza se e senza ma di Israele?

Questa guerra sta distruggendo una cultura della pace, una cultura della lotta contro le discriminazioni e il razzismo, che aveva avuto il suo simbolo nella Giornata della Memoria. La perdita di credibilità della memoria della Shoah è una tragedia nella tragedia. Lo vediamo in Germania, dove la memoria dell'Olocausto è stato uno pilastri della trasformazione democratica, che ha fatto del riconoscimento dell'alterità, della diversità, pluralismo una delle sue norme. Oggi in Germania questa cultura della memoria è a tal punto snaturata da fare del sostegno incondizionato alla politica di Israele una “ragion di stato”.

Nel tuo libro spieghi come, dal tuo punto si vista, la resistenza palestinese è legittima, trovandosi i palestinesi in un regime di occupazione…

Il 7 ottobre è stato un massacro atroce, ma la resistenza palestinese è legittima, e questa non è soltanto una valutazione politica, è legittima anche sul piano del diritto internazionale. Dobbiamo chiederci soprattutto perché si è arrivati al 7 ottobre. La risposta che i media e i grandi organi di stampa, assieme ai leader politici, hanno dato è che si è trattato del più grande pogrom della dopo la Seconda Guerra Mondiale, dopo l'Olocausto. Quindi il rapporto con l'Olocausto è stato stabilito fin dal principio da Israele e dai suoi sostenitori. E questa lettura è una lettura del tutto deformante, perché se noi spieghiamo il 7 ottobre come epilogo di una storia millenaria di antisemitismo, le sue radici in decenni di oppressione dei palestinesi vengono rimosse.

Quando abbiamo intervistato Gad Lerner a pochi giorni dall'attacco a Gaza, ha usato l'immagine della "pentola a pressione" che alla fine esplode se non si abbassa il fuoco, per spiegare l'attacco di Hamas. Ti convince?

Sì, mi sembra funzioni bene. La pentola prima o poi doveva scoppiare. Il problema consiste a leggere il 7 ottobre e la stessa natura di Hamas solo attraverso il prisma dell'antisemitismo, un  prisma che mette tra parentesi o cancella la storia dell'occupazione israeliana a Gaza, "una prigione a cielo aperto". Da una parte abbiamo un esercito super tecnologico, dall'altra delle milizie armate con armi leggere o missili artigianali, una sproporzione talmente grande che anche parlare di guerra è inappropriato.

Insomma i palestinesi non potevano scomparire piano piano e in silenzio come forse gli israeliani ormai pensavano sarebbe accaduto…

Non possiamo far finta di non sapere cosa è accaduto negli ultimi trent'anni. Non possiamo far finta di non sapere che il movimento nazionale palestinese aveva abbandonato la lotta armata per seguire la strategia dei negoziati, e che gli accordi di Oslo sono stati sistematicamente disattesi da Israele, che ha continuato a colonizzare la Cisgiordania e trasformato Gaza in una gabbia, che ha costruito un regime di apartheid. E allora come si arriva al 7 ottobre? Come si spiega questa esplosione di violenza e di odio, con l'antisemitismo atavico o come la risposta alla segregazione e alla mancanza di qualsivoglia prospettiva? Il punto non è condannare il 7 ottobre, ci mancherebbe non condannare un crimine del genere, ma avere il coraggio di capire da dove arriva quell'esplosione di violenza. Israele, gli Stati Uniti e gran parte dei Paesi arabi credevano che la questione palestinese fosse chiusa con gli Accordi di Abramo: i palestinesi avrebbero dovuto vivere nei loro ghetti fino ad essere completamente espulsi. Non poteva andare così, era irrealistico da parte delle classi dirigenti israeliane pensarlo.

Da dove ripartire per trovare un futuro diverso da quello di una nuova Nakba per i palestinesi?

Dobbiamo prendere sul serio le parole della Corte Internazionale di Giustizia dell'ONU sul rischio di un genocidio, dobbiamo prendere sul serio la richiesta di arresto dei leader di Israele da parte della Corte penale internazionale. Se vogliamo trovare una soluzione dobbiamo guardare la realtà in faccia, e guardare in faccia la realtà vuol dire vedere che all'attacco indiscriminato contro i civili avvenuto il 7 ottobre da parte delle milizie palestinesi, la risposta è stata un genocidio. Ecco questo è il punto di partenza minimo per poter trovare una soluzione.

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