Che cos’è la felicità? Forse uno degli interrogativi più complessi della storia dell’umanità. Dagli antichi poeti e filosofi all’uomo di strada, passando per i cantanti di ogni epoca, non c’è nessuno che non ne abbia elaborato una personale concezione. Incluso Antonio De Marco.
Il 21 settembre 2020 Eleonora Manta, 30 anni, e Daniele De Santis, 33, venivano assassinati nel loro appartamento di via Montello, a pochi passi dalla stazione di Lecce.
Quella sera, a cena, la giovane impiegata dell’Inps e l’arbitro di calcio stavano festeggiando il loro primo giorno di convivenza. Ma mentre Eleonora mangiava un dolce e Daniele le scattava la foto, la furia omicida ha imperversato nell’abitazione spazzando via sogni e progetti di una vita insieme.
Antonio de Marco, studente 23enne di scienze infermieristiche, li ha uccisi con settantanove coltellate. Quarantuno colpi hanno raggiunto Eleonora, trentotto Daniele. Una vera e propria mattanza. De Marco aveva preso qualche tempo prima in affitto una stanza della casa. Per questo è riuscito a entrare indisturbato utilizzando le chiavi e senza bussare. Cogliendo così la coppia di sorpresa.
Il giovane è stato condannato all'ergastolo e riconosciuto pienamente capace di intendere e di volere.
La scena del crimine
Lo scenario che si sono trovati di fronte gli investigatori è stato agghiacciante. In cucina, la tavola era apparecchiata per metà con una tovaglia. Quanto basta per due persone. Sul tavolo c’erano alcuni avanzi del pasto, mentre sul pavimento c’era un piccolo pezzo di dolce.
Il cadavere di Daniele è stato rinvenuto sulle scale, con la nuca appoggiata sull’ultimo gradino della rampa di scale. Un corpo martorizzato da una tempesta di coltellate localizzate soprattutto in prossimità del braccio sinistro, del volto e sulla parte superiore sinistra del torace.
Il cadavere di Eleonora, invece, si trovava sul ballatoio del secondo piano. Era immerso in una pozza di sangue, il suo sangue, che scorreva lungo il torace e la gamba sinistra. L’esame autoptico ha attribuito la causa di morte della ragazza ad un’insufficienza cardio respiratoria acuta da lacerazione di polmone sinistro, fegato, stomaco e intestino.
Il decesso di Daniele, invece, è stato imputato ad un’insufficienza cardio respiratoria acuta da lacerazione di cuore, polmone, milza e intestino.
Antonio De Marco, potenziale serial killer
“Ho fatto una cavolata. So di aver sbagliato. Li ho uccisi perché erano troppo felici e per questo mi è montata la rabbia”.
Antonio De Marco ha mostrato di avere tratti di personalità spiccatamente narcisistici, sottotipo covert. Vale a dire un soggetto caratterizzato da un ego grandioso mascherato da forti sentimenti di vulnerabilità. Tratti che, come tali, lo hanno reso completamente incapace di identificarsi con i sentimenti e i bisogni di Eleonora e Daniele.
Ha dichiarato di averli uccisi perché troppo felici. Per una persona non patologica è una motivazione inconcepibile e umanamente non contemplabile. Ma per un narcisista di questo tipo, e quindi per un analfabeta emotivo, la felicità altrui, oltre a non essere compresa, viene vissuta come una condizione che nessuno merita. A parte lui stesso.
Quindi, se qualcuno osa essere felice, deve pagarla attraverso la vendetta quella felicità. Antonio de Marco ha dunque una personalità fortemente destabilizzata. Ed in quel contesto emozionale che si è inserito l’impellente bisogno di vendicarsi.
L’assassino di Eleonora e Daniele ha anche affermato di “aver fatto una cavolata”. Confermando una sua totale mancata percezione della realtà.
De Marco ha attraversato una dimensione in cui le gerarchie valoriali erano capovolte e la gravità delle azioni è stata ridimensionata sulla base della sua visione irrazionale. Dunque, affermando di “aver fatto una cavolata” ha tentato di normalizzare anche davanti ai suoi stessi occhi un gesto efferato come il duplice omicidio.
Le modalità con le quali ha inveito sugli amici denotano la mancata affermazione della sua individualità nel quadro sociale e relazionale. E proprio questa mancata affermazione lo ha indotto ad agire in maniera quasi meccanica, infierendo sui due corpi con settantanove coltellate. E a partecipare a una festa la sera dopo.
Inoltre, stando ai bigliettini insanguinati rinvenuti nel cortile della palazzina, avrebbe voluto legarli per seviziarli. Così come avrebbe voluto servirsi del loro sangue per scrivere sul muro un messaggio. Tutti avrebbero dovuto sapere che cosa gli avesse fatto.
Antonio de Marco intendeva massacrare e far male il più possibile alle sue prede perché nella sua mente avevano osato abbandonarlo. Un ragazzo perfettamente lucido che avrebbe sicuramente potuto uccidere ancora. Per queste ragioni è stato condannato all’ergastolo e riconosciuto come perfettamente capace di intendere e di volere.