Una delle frasi più pericolose degli ultimi decenni dice che "il mondo può essere salvato solo se ognuno fa la propria parte, consumando in modo sostenibile e adottando pratiche di risparmio energetico". È una frase pericolosa perché è vera solo in (piccola) parte, e come tutte le verità parziali può essere facilmente strumentalizzata per nascondere ampie porzioni di realtà; nello specifico: per far sì che i maggiori responsabili del collasso climatico possano continuare ad agire indisturbati. L’idea per cui saranno i nostri consumi e le nostre singole azioni a salvarci dalla crisi climatica è sbagliata e fuorviante per una serie di ragioni, e la prima è che, allo stato attuale, non tutti sono nelle condizioni di poter fare scelte “virtuose” in termini di consumi e stili di vita, mentre potrebbero esserlo a fronte di cambiamenti strutturali e sistemici.
La seconda è che la stragrande maggioranza delle emissioni di gas serra – che ad oggi continuano ad aumentare, nonostante gli annunci transizionisti – sono imputabili a un centinaio di aziende che operano nel settore degli idrocarburi. Aziende che non solo producono miliardi di tonnellate di CO2, ma utilizzano buona parte degli enormi profitti che accumulano per far sì che il baricentro energetico si sposti il più tardi possibile dai combustibili fossili.
Per quanto le azioni singole siano importanti – anche soltanto per gli effetti psicologici e sociali che innescano – da sole non potranno mai essere sufficienti per mettere il pianeta sui binari giusti. Eppure la retorica dei singoli consumi fa ancora presa, questo perché ognuno di noi, di fronte a un problema così complesso e soverchiante, ha bisogno di non sentirsi impotente, certo, ma anche perché dagli anni ‘80 ad oggi i big del petrolio hanno investito milioni di dollari per diffondere in modo capillare l’idea secondo cui i responsabili del cambiamento climatico sono i singoli consumatori, e non chi invece ha costruito un impero stimolando e imponendo questi consumi.
È ormai cosa nota che la situazione in cui ci troviamo era stata ampiamente prevista già cinquant’anni fa, e i manager di Big Oil sono stati i primi a essere informati dei danni prodotti dalle proprie attività: di fronte alla prospettiva di vedere crollare il loro impero, le aziende fossili hanno prima cercato di minimizzare il problema, e poi, quando non è stato più possibile negare la crisi climatica, hanno rovesciato il problema sui singoli. Il risultato è che questa retorica è viva ancora oggi: l’individuo che si sente colpevole per la crisi climatica farà di tutto per sbarazzarsi del senso di colpa, comprerà nuovi prodotti, e si convincerà di non poter fare altro per risolvere il problema. Riprendendo il celebre slogan coniato da Giuseppe Tomasi Di Lampedusa ne Il Gattopardo: le aziende fossili chiedono a tutti di cambiare perché tutto rimanga com’è.
Alcuni cittadini sono più uguali degli altri
Se facessimo una fotografia della situazione attuale, cristallizzando le emissioni dei singoli cittadini nel nostro paese, ci renderemmo conto che esiste un minuscolo gruppo di persone che produce incredibilmente di più di tutti gli altri, compresi quelli che non si sognano nemmeno di adottare buone pratiche o di consumare in modo sostenibile.
Questa settimana Oxfam ha pubblicato un report che rivela come 125 tra le persone più ricche e influenti del mondo producano ogni anno 393 milioni di tonnellate di CO2, l’equivalente di quelle prodotte dalla Francia, per capirci; considerando che le emissioni medie globali pro capite ammontano a 2,76 tonnellate, significa che ognuno di questi miliardari inquina ogni anno quanto più di un milione di persone. Per fare un confronto più specifico: in Italia la tonnellate annuali di CO2 pro capite ammontano a 5,8, e siccome tra i 125 presi in esame da Oxfam figurano anche degli italiani, questo significa che nel nostro Paese ci sono persone che con le loro attività emettono quanto 530.000 cittadini dai consumi normali.
Ma com’è possibile che una persona sia responsabile di così tante emissioni? Il fatto che questi individui conducano stili di vita che comportano emissioni di gas serra migliaia di volte superiore alla media pro capite mondiale è solo una parte della risposta: il punto è che queste persone impegnano buona parte del proprio patrimonio in attività enormemente inquinanti.
"A differenza delle persone ordinarie, una quota tra il 50% e il 70% delle emissioni delle persone più ricche del mondo sono il risultato dei loro investimenti – si legge nel report -. Hanno ampie partecipazioni in molte delle più grandi e potenti società del mondo, partecipazioni abbastanza consistenti da influenzare le azioni intraprese da queste società". Non solo queste persone investono in attività fossili, ma lo fanno molto di più di altri: basti pensare che il 14% degli investimenti di questi ultramiliardari vanno a finanziare l’estrazione, raffinazione e distribuzione di idrocarburi o progetti di cementificazioni, una percentuale praticamente doppia rispetto alle 500 aziende più influenti dell’indice azionario statunitense.
Non stupisce allora che l’1% più ricco (circa 63 milioni di persone) sia responsabile del 15% delle emissioni serra, quello che stupisce, piuttosto, è che spesso le misure adottate per contrastare la crisi climatica a partire dai consumi non tengano conto di questa discrepanza. Ricordiamo cos’è successo in Francia nel 2018 quando il governo francese ha deciso di aumentare in modo trasversale la carbon tax, andando a penalizzare le fasce più vulnerabili della popolazione, che non a caso hanno organizzato accese proteste.
Volendo pescare un altro celebre aforisma letterario (in questo caso da La fattoria degli animali di George Orwell) questo è il classico caso in cui tutti i cittadini sono uguali, ma alcuni cittadini sono più uguali degli altri.
I singoli individui davvero colpevoli
In questi giorni sta girando molto un grafico a torta che mostra quanto le diverse nazioni siano responsabili per l’eccesso di anidride carbonica presente nell’atmosfera, e dunque per gli enormi danni che la crisi climatica sta già causando. È un grafico importante, perché mette in prospettiva un problema che non può essere affrontato tenendo solamente conto delle emissioni dei vari stati. Perché se è vero che negli ultimi 20 anni le emissioni delle economie emergenti (come la Cina e l’India) hanno superato e doppiato quelle dei paesi industrializzati (come gli USA, il Canada e l’UE) è altrettanto vero che, allargando il campo d’indagine all’intervallo 1750-2020, le nazioni industrializzate continuano ad essere di gran lunga le maggiori responsabili della crisi in cui ci troviamo; il che è ancor più rilevante se si considera che rappresentano solo una fetta esigua della popolazione mondiale (il 12%). Per dire, oggi la Cina, con i suoi 1,4 miliardi di persone, inquina il doppio rispetto agli Stati Uniti, ma storicamente è responsabile di meno del 14% delle emissioni globali, mentre gli USA, con un quarto della popolazione, sono responsabili del 25%.
Mentre i lavori della COP27 in Egitto proseguono, il tema della responsabilità è una volta tanto al centro del tavolo, visto che si discuterà di Loss&Damage, ossia della necessità di stanziare fondi per risarcire i paesi più esposti alle ricadute dell’emergenza climatica, che spesso sono anche quelli che meno hanno contribuito ad alimentarla. Lo studio di Oxfam, in questo frangente, è particolarmente utile, perché dimostra che il problema non si possa risolvere unicamente dividendo il mondo in nazioni vittime e colpevoli, c’è bisogno anche di concentrarsi su quei singoli individui che da soli sono in grado di inquinare quanto interi stati.
Mentre le persone ordinarie si dannano nel tentativo di ridurre al minimo le emissioni nel quotidiano, ci sono persone che da sole producono le stesse emissioni di una persona che circumnaviga il mondo 16 milioni di volte in un jet privato, un quantitativo che per essere compensato richiederebbe che circa 4 milioni di persone diventassero vegane. "I cittadini comuni spesso non hanno molto controllo sulle proprie scelte energetiche, in particolare quelli dei gruppi a basso o medio reddito – si legge nel report -. Al contrario, gli investitori possono scegliere dove mettere i propri soldi. […] Le decisioni che questi investitori prendono ora possono potenzialmente determinare le nostre emissioni per i decenni a venire". A questo punto, allora, la frase incriminata a inizio pezzo andrebbe riformulata: il mondo può essere salvato solo se gli individui più ricchi smetteranno di investire su progetti fossili, o se i governi e le istituzioni internazionali li costringeranno a farlo.