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I misteri della strage di Capaci, un testimone: “Le mie foto scomparse dopo l’attentato”

Antonio Vassallo fu il primo fotografo ad arrivare a Capaci subito dopo l’esplosione. Immortalò quei drammatici istanti ma fu costretto a cedere il rullino a due uomini che gli sventolarono un tesserino delle forze dell’ordine. “Quelle foto non sono mai arrivate ai magistrati che indagarono sulle stragi”.
A cura di Francesco Cortese
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A ventinove anni dalla strage di Capaci – in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta – continuano ad essere tante le domande senza risposta sul periodo stragista del '92.

Fanpage.it ha raccolto la testimonianza del primo fotografo che, il 23 maggio 1992, arrivò sul luogo dell'attentato e scattò delle foto. Oggi, di quelle immagini non si sa nulla. "Sono scomparse, nessuno sa che fine abbiano fatto" denuncia Antonio Vassallo, che con la sua macchina fotografica ha immortalato gli istanti immediatamente successivi all'esplosione.

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"Quando arrivai sul luogo della strage, la mia attenzione continuava ad essere attirata da quell'uomo, tutto insanguinato, seduto sulla Croma bianca – racconta Vassallo – Attorno a lui c'erano tantissime persone che io ho fotografato. Ad un certo punto vengo fermato da due uomini in abiti civili che mi invitano a consegnare loro il rullino, sventolandomi in faccia un tesserino che, forse, era quello della polizia".

Otto mesi dopo, a Caltanissetta, inizia il processo sulle stragi. Ma di quelle foto nessuno è a conoscenza. "Incontrai la dottoressa Ilda Boccassini (giudice nel processo sulle stragi di Capaci e via D'Amelio ndr) e gli chiesi delle foto – racconta il fotografo Vassallo – Sorprendentemente, scoprì che quelle immagini non erano mai arrivate sul tavolo del processo. Ancora oggi mi chiedo il perché".

Sono trascorsi 29 anni dalle stragi di Capa ci e via D'Amelio che sconvolsero l'Italia intera. Ma, ancora oggi, la verità sembra lontana.

"Abbiamo il dovere di fare memoria, ma anche il diritto alla verità che noi dobbiamo esercitare con forza – sottolinea Antonio Vassallo – Se facciamo solo memoria, abbiamo fatto memoria di plastica".

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