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I giovani di oggi (indignati e non) pagheranno per tutti: l’eredità di una classe politica “vecchia”

In Italia il debito pubblico accumulato determinerà più tasse e meno servizi. L’allarme è soprattutto per settori chiave come sanità, istruzione e trasporti.
A cura di Susanna Picone
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I giovani di oggi (indignati e non) pagheranno per tutti: l'eredità di una classe politica "vecchia"

Che l’Italia stia affrontando un periodo di crisi economica di quanto più profondo si possa immaginare è storia ormai ripetuta molte e troppe volte e chiara, ormai, a tutte le forze politiche, da destra a sinistra, dalla maggioranza all’opposizione.

Le parole “tagli” e “riforme” sono così usate da svuotarsi talvolta del loro pieno e spesso tragico significato. Le ripercussioni economiche oggi sono avvertite dalla stragrande maggioranza della popolazione e l’allarme attuale è così alto da far passare talvolta in secondo piano un discorso, che è invece più che necessario, relativo al futuro più o meno prossimo.

In poche parole, chi pagherà il debito pubblico accumulato in anni e anni di crisi? Secondo una ricerca pubblicata sul sito economico lavoce.info le generazioni che pagheranno per tutti saranno quelle future e quelle dei “figli”, la generazione cioè che oggi ha un’età compresa tra i 35 e i 45 anni.

Dati e calcoli dimostrano infatti che il debito pubblico accumulato tra il 1965, quando si attestava intorno al 25% del Pil, e il 1995 quando ha raggiunto un incremento di quasi 5 volte, non è stato utilizzato a fini produttivi. Chi ha inizialmente beneficiato dei soldi presi in prestito (e finiti alle pensioni e al pubblico impiego) è stata la generazione 1940-1950. Sono infatti questi “padri” ad aver ampiamente usufruito delle “baby pensioni” visto che tra i 50 e i 60 anni solo il 36% del loro gruppo era occupato rispetto al 56% dei nonni.

L’evoluzione della società italiana tende dunque a  dimostrare che chi sicuramente avrà maggiori problemi con le pensioni (e quindi non potrà beneficiare del debito pubblico se non indirettamente) sono quindi questi giovani con un futuro più che mai incerto, pensiamo ai numerosissimi stipendi che non arrivano ai 1000 euro, ma che sicuramente non raggiungeranno l’età pensionabile prima dei 65 anni. Ironia della sorte dimostra però che sono gli stessi giovani quelli che in qualche modo si trovano nella condizione di dover risanare oggi il debito accumulato nelle generazioni precedenti e i mezzi attraverso i quali dovranno muoversi sono sostanzialmente due: attivamente, pagando delle tasse sempre più alte (rispetto anche agli stipendi che non crescono però nello stesso modo) e, in maniera passiva, vedendosi costretti a subire un peggioramento notevole della qualità della vita dovuto alla politica di un Governo che insiste nel cercare di sanare tagliando nei servizi.

“ Si guardi con coraggio agli interessi comuni di più lungo termine per l'unità dell'Europa, per lo sviluppo mondiale, per il futuro delle giovani generazioni. ”
Giorgio Napolitano
Oggi l’allarme tocca più da vicino settori chiave come sanità, istruzione e trasporti pubblici, settori che a ben vedere sono attualmente utilizzati per lo più dalla stessa generazione dei figli (per fare solo un esempio ci basta considerare che la generazione dei figli è sovra-rappresentata tra gli utenti dei servizi scolastici e subirà, quindi, i tagli in questo settore molto più degli altri). Viene da sé che questa mancanza di servizi non potrà essere fronteggiata con grandi mezzi visto che non sono i giovani a detenere la “ricchezza”: la generazione dei padri possiede infatti circa il 25% dell’intero patrimonio immobiliare del Paese contro l’8% dei figli e il 4% dei nonni.

Insomma ci troviamo di fronte a tutti dati che ci dimostrano una sola, triste verità: saranno i giovani di oggi, sia gli “indignati” che quelli meno attenti alle politiche del Governo, a pagare la maggior parte del costo del risanamento dei conti pubblici.

“Problema” che si proverà a risolvere quando la classe dirigente del Paese prenderà coscienza della situazione? È difficile dirlo dato che, statistiche alla mano, le “vittime dell’evoluzione della società italiana” sono praticamente assenti in un Parlamento sovra-rappresentato invece, guarda caso, dai “padri”.

I ministri del Governo Berlusconi

“Perché il tempo ci sfugge ma il segno del tempo rimane”, lo cantano i Baustelle in una nota canzone e se anche non si riferiscono proprio ai problemi economici del Paese potremmo comunque adottare la citazione per il nostro discorso: alla classe politica “vecchia” che porta avanti il Paese il tempo è evidentemente sfuggito al punto tale da perdere una visione complessiva che tenda ad aiutare quei giovani che intanto subiscono “il segno del tempo che rimane” e che, come se non bastasse, continuano anche ad essere chiamati “bamboccioni”.

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