“Ho incontrato più esorcisti che psicologi”: la figlia di un magistrato racconta l’inferno di Shalom
L’inchiesta di Backstair che denuncia le violenze perpetrate dentro la comunità terapeutica Shalom di Palazzolo sull’Oglio ha spinto molti ex ospiti a farsi avanti e a raccontare l’inferno che avrebbero vissuto dentro la comunità di Rosalina Ravasio.
Tra le decine e decine di segnalazioni arrivate alla redazione di Fanpage.it c’è quella di Enrica Bonaretti. "Sono una fonte attendibile – ci tiene subito a precisare – perché io sono una professionista, sono una dottoressa e farmacista ospedaliera, e sono anche figlia di un magistrato, Domenico Camillo Bonaretti, il presidente vicario della corte di appello di Milano".
Enrica Bonaretti è entrata nella comunità bresciana nel 2005, a 20 anni. “Sono qui come reduce dell’esperienza Shalom. A Shalom io ho trascorso i 19 mesi peggiori della mia vita e tutt’ora nonostante siano passati 18 anni ho un ricordo traumatizzante di quel periodo”, afferma Enrica.
Un insulto all'articolo 32 della Costituzione
Dopo i quasi due anni trascorsi dentro la comunità di Rosalina Ravasio, la dottoressa Bonaretti riferisce che Shalom “è un insulto all’articolo 32 della Costituzione, che sancisce che nessuno può essere obbligato ad alcun trattamento sanitario se non per disposizione di legge e comunque mai violando i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Shalom è una vergogna per il nostro paese”.
Bonaretti ripercorre le prime ore in comunità e spiega come è arrivata nella comunità di Palazzolo sull’Oglio: “Non sapevo di andare in comunità. Seguii i miei genitori che mi dissero che mi avrebbero portata a un colloquio di lavoro. Quando arrivai, capii subito che la realtà era ben diversa, ma feci buon viso a cattivo gioco, pensando che si sarebbe trattato solo di un colloquio”.
Il pugno di Rosalina
Enrica racconta che sin da subito la sua idea era quella di non rimanere lì: “Cercarono di convincermi a restare, io non mi smuovevo di un millimetro. Arrivarono prima altre 3 o 4 persone, tra cui il factotum della suora. Non so che preparazione avesse in ambito pedagogico, ma ritengo zero”. Quando si accorsero che non cedeva, arrivò la responsabile in persona: “La suora arrivò e mi scioccò. Lo ricordo come fosse ieri. Arrivò gridando, paonazza in viso, frasi assurde e offensive. Mi disse che ero una tossica, una pazza, che ero una stronza, che non avevo rispetto di niente e di nessuno, che mi facevo spaccare la faccia dai tunisini. Io la guardai negli occhi e capii che era completamente fuori di testa. Non era una persona con cui si poteva comunicare, per cui la lasciai finire e poi le dissi: ‘Benissimo, adesso o mi lascia andare o chiamo i carabinieri’”. Enrica racconta che non fece in tempo a prendere il cellulare, “mi saltarono addosso, mi tennero ferma e lei mi picchiò, mi colpì ripetutamente sul viso, in particolare sul naso, che neanche un mese prima il mio compagno di quel tempo – che avevo lasciato dopo questo episodio violento – mi aveva rotto”.
Bonaretti spiega che in quel momento avrebbe iniziato a capire che quella era una delle tante tattiche usate da Rosalina Ravasio: “Questi sono i tipici esempi di mistificazione della realtà di Rosalina. Lei prende una parte, la modifica e la sbraita coram populo davanti a tutti. Io avevo avuto una relazione con una persona violenta di origine tunisina, che era terminata, e lei diceva ‘tu ti fai spaccare la faccia dai tunisini’. E non lo dice solo al diretto interessato, lo urla durante la celebrazione della messa o gli incontri dei genitori, al fine unico di umiliarti. È un’esibizione di potere”.
Dopo questo episodio, i genitori di Enrica l’avrebbero lasciata lì: “I cancelli si chiusero e io rimasi lì, circondata da sconosciuti che continuavano a insistere che dovevo fare esami delle urine. Io dicevo che non avevano il diritto di trattenermi e loro mi rispondevano che avrebbero avviato una procedura di interdizione nei miei confronti. Io ero tranquilla, perché sapevo che nessuno psichiatra avrebbe avallato una richiesta simile. Confidavo che una volta avvenuto il colloquio, la questione si sarebbe risolta e io sarei potuta tornare a casa”.
La violenza dello psichiatra
Enrica Bonaretti racconta che dopo qualche giorno incontrò lo psichiatra della comunità: “Gli incontri con i medici durante il percorso sono praticamente nulli, lo psichiatra si incontra solo quando dà le terapie, non c’è nessun vero percorso. Io incontrai lo psichiatra, volontario della comunità, mi chiamò e iniziò a farmi una serie di domande, di commenti molto fastidiosi, cercava di provocarmi. Io rimasi calma, ma dissi che ero trattenuta contro la mia volontà e volevo tornare a casa, dove mi aspettavano i miei sette cani e dovevo assolutamente prendermene cura”. Il medico in quel momento avrebbe preso questa informazione per provocare ancora la donna: “Mi rispose che i miei cani erano meglio di me. E io gli dissi: ‘Sicuramente, ma anche molto meglio di lei’. Si alzò, prese un’enciclopedia, ma io non me ne accorsi. Venne dietro di me e me la tirò sulla nuca così forte che caddi a terra dalla sedia. A terra mi colpì e poi mi fece un’iniezione di Valium. Mi svegliai il giorno dopo, avevo una lista spaventosa di farmaci: prendevo 14 dosi al giorno. Da farmacista ospedaliera posso dire che quella terapia era appropriata per uno schizofrenico grave pericoloso per sé stesso e per gli altri. Cosa che io non ero”.
Il trattamento degli ospiti con patologie
L’ex ospite sottolinea oggi che uno degli aspetti che caratterizzerebbe Rosalina Ravasio e la sua comunità è “il marcato atteggiamento antiscientifico”. Per avvalorare la sua tesi, Enrica Bonaretti parlando del percorso terapeutico dentro Shalom afferma: “Il supporto psicologico era completamente assente, basti pensare che ho incontrato più frequentemente l’esorcista dello psicologo”. Essendo una farmacista ospedaliera, questa ex ospite affronta anche il tema del trattamento riservato ad alcuni ospiti affetti da patologie di un certo tipo: “Ai pazienti HIV+ e HCV+ non era consentito assumere, rispettivamente, la terapia antiretrovirale combinata e l’interferone. In compenso la suora si prodigava in preghiere. Ricordo durante un’adorazione durata tutta la notte, la suora chiese il miracolo della guarigione per gli ospiti sieropositivi”.
Le punizioni subite e le lettere dei genitori
Convinta dell’idea di non voler restare lì, Enrica Bonaretti sarebbe andata incontro a una lunga sequela di punizioni. “Più stavo e più mi rendevo conto che era un posto psicotico. I miei primi cinque mesi di Shalom sono stati un incubo incredibile. I primi due mesi sono stata in isolamento in questa stanza chiamata laboratorio, con altre quattro persone, con i problemi più disparati, tutte in punizione. Eravamo costrette a lavorare dalla mattina alla notte inoltrata. Nonostante i farmaci, sono stata costretta a passare notti insonni, sono arrivata a passarne quattro. E quando mi addormentavo in piedi, mi svegliavano e mi facevano camminare per la stanza. Era una forma di tortura”. E durante quell’isolamento a Enrica sarebbe stata consegnata una lettera. Secondo il racconto di decine di ex ospiti, una prassi della suora sarebbe quella di cercare di spingere i ragazzi a restare attraverso lettere scritte dai genitori, ma frutto del pensiero di Rosalina. “Ricevetti una prima lettera durissima da parte di mio padre, in cui veniva ribadito il concetto secondo cui era stata presentata al tribunale una procedura di interdizione nei miei confronti. Ovviamente era tutto falso, scoprii poi che l’artefice di questa idea era la suora. Conservo ancora una copia di quel fax”, racconta l’ex ospite. “La seconda lettera da mio padre arrivò alla vigilia di Natale. Gli avevano riferito una serie di falsità. Anche questa era durissima: mio padre mi diceva che se non avessi iniziato ad accettare il percorso, non sarei più potuta tornare a casa. Dopo quello che mi avevano fatto, io non sarei comunque mai più tornata a casa, quindi continuai a dire che non volevo stare lì”.
L’umiliazione più grande, per Enrica Bonaretti, è stata quando le avrebbero proibito di andare in bagno: “Mi è stato detto ‘Se tu non ci dici che vuoi rimanere qui, allora ti pisci addosso’. Parole testuali. Ed era la prassi comune”. Enrica Bonaretti ci spiega anche di altri tipi di punizioni, già raccontate da altri ex ospiti, come quello dello scrivere ripetutamente una frase: “Era una frase altamente umiliante, che ovviamente non condividevo: ‘Sono una bugiarda manipolatrice, non ho rispetto degli altri perché sono una tossica stronza’. Io mi rifiutai, le vecchie insistettero, ma io rifiutavo. A un certo punto estenuata io strappai quel foglio. Arrivò la suora con i cani, cercò di afferrarmi lo chignon, ma essendo alta la metà di me non ci riuscì. Io le presi i polsi. Non volevo farle male, ma evitare che lei lo facesse a me. I cani miracolosamente non mi attaccarono, ma partirono le vecchie e presi diversi schiaffi”.
Vista la posizione irremovibile sul voler andare via, “mi spedì alle carriole. Per tre mesi – quelli più freddi, da dicembre a febbraio – dalla mattina presto alla notte inoltrata, spingevo scalza una carriola piena di tronchi, avanti e indietro. Con me c’era una ragazza di 16 anni, affetta da schizofrenia grave. Piangeva, non voleva stare lì. I ragazzi la deridevano e buttavano giù la carriola ogni volta che si fermava. Lei era costretta a rimettere la legna su e a ricominciare. La differenza tra me e lei era che lei all’imbrunire poteva tornare in laboratorio, io no. Io finché non avessi detto alla suora ‘voglio stare qui’ lei mi avrebbe lasciato lì. Ma io non cedevo”.
"Le stesse torture peggiori 20 anni fa"
L'ostilità dimostrata dall'allora ventenne nell'affrontare il percorso avrebbe fatto sì che le sue condizioni di vita venissero rese sempre più difficili: “Mi hanno impedito di lavarmi. Ho scoperto poi che hanno detto ai miei genitori che non volevo lavarmi io. Mi consentirono di lavarmi solo i genitali, prima alle vecchie non era consentito nemmeno quello, poi ci furono infezioni gravi vaginali e la suora cambiò idea”. E ancora: “Venivo costretta a mangiare pane e formaggio. Tre piccoli panini con una fettina di formaggio. Questo per due mesi. Ma mi considero anche fortunata, perché prima di me si mangiava solo pane e acqua. Non è che la situazione Shalom oggi sia sfuggita alla suora: le stesse metodiche, le stesse torture peggiori io le ho vissute venti anni fa”.
Le numerose punizioni subite avevano, secondo il racconto di Enrica, un solo fine: “Tutte le sere arrivava una volontaria e mi diceva: ‘Allora, Enrica, vuoi stare qui o vuoi andare via? Il fine era convincerti a stare lì. Queste ragazze che si vedono in punizione non sono ragazze che ‘l’hanno combinato davvero grossa' come dice una suora (nella prima puntata dell’inchiesta, ndr), ma sono ragazze che hanno solo detto di voler andare a casa. Quando la suora incontra questo muro, lei utilizzerà tutti i metodi coercitivi che può per portare a sfinimento l’ospite. A un certo punto l’ospite esausto, stremato e nei casi peggiori temendo per la sua vita, accetterà”.
Gli effetti della terapia farmacologica
Da dottoressa in farmacia, Enrica Bonaretti parla degli effetti della terapia che le veniva somministrata quotidianamente dentro la comunità di Rosalina Ravasio: “Ho la pelle d’oca quando parlo di queste cose, perché ho subito degli abusi psichiatrici orribili. Io mi addormentavo in piedi. Erano dei metodi utilizzati soltanto al fine di rendermi incapace di reagire in alcun modo, incapace di scappare. Infatti anch’io sono stata scalza per sei mesi. Sbavavo, da farmacista ospedaliera potrei definirla ipersalivazione, ma perdevo la bava”. Come spiega bene l’ex ospite, gli effetti di questi farmaci erano particolarmente pesanti: “Io non ero in grado di articolare le parole, non ero in grado di portare a termine un pensiero, non riuscivo a concentrarmi. E non mi si consentiva di dormire. Non consentirmi di dormire per quattro giorni, in un contesto di abuso psichiatrico, di carrellate di psicofarmaci, ha un valore infinitamente peggiore di quello che sembra. Già è disumano, ma così è proprio una tortura”.
Lavoro e preghiera
La vita dentro Shalom, come denuncia l'ex ospite, sarebbe stata scandita da lavoro e preghiera: “Oltre alle lodi mattutine dovevamo recitare il rosario almeno una volta al giorno. A maggio e ottobre i rosari diventavano quattro. E quando non pregavamo dovevamo ascoltare canzoni di Chiesa. Non ci era concesso ascoltare altra musica”. Bonaretti mette in evidenza le regole ferree a cui gli ospiti erano sottoposti: “Non ci era concesso parlare del nostro passato, della nostra storia personale o dei nostri problemi sia prima sia durante Shalom. Non potevamo lamentarci, né dire cose negative sul sistema Shalom. Tutto ciò era considerato ‘anticomunitario' ed era assolutamente proibito, pena finire dalla suora. Ci davano un diario da scrivere la sera, ma nemmeno in questo caso si poteva scrivere liberamente, perché il diario era controllato dalla vecchia e, anche in quel caso, se si fosse scritto qualcosa di contro la comunità si sarebbe finiti dalla suora”.
L'apparente benessere
Per Enrica Bonaretti non c’era nessuna luce, nessun lato positivo nella permanenza dentro la comunità di Palazzolo: “Io per tutto il primo anno lì dentro ho solo desiderato morire. Era disumano, terribile, non capivo lo scopo e non vedevo nessuna speranza. Quando seppi che il percorso era di minimo 5 anni, ma 8 di media, per me era inaccettabile”. Con i genitori, ci spiega ancora l’ex ospite, “era necessario fingere di essere felici. Se avessi detto qualcosa di anche lontanamente ‘anticomunitario’ sarei tornata in punizione. Il genitore lasciava un figlio in uno stato, ma lo trovava sorridente quando lo rivedeva e prendeva atto. Non poteva immaginare ciò che si celava dietro questo apparente benessere”.
I disturbi alimentari dentro Shalom
Bonaretti affronta anche il nodo del trattamento riservato alle ragazze che soffrivano di disturbi dell’alimentazione: “Le ragazze anoressiche dentro Shalom dopo un po’ di tempo sono normopeso perché sono obbligate a mangiare e se non lo fanno sono costrette con la forza. E se cercano di prendere un panino in meno rispetto ai tre che sono obbligate a prendere a tutti i pasti, loro sono costrette a mangiarne 15, oltre al primo, al secondo e alla frutta. Per una anoressica penso che sia la tortura peggiore. Il genitore vedeva la figlia normopeso e diceva ‘le stanno salvando la vita, Rosalina ha la bacchetta magica, non c’era riuscito nessuno’. Nessuno aveva usato i metodi di Rosalina, che sono illegali”. Sempre a proposito della cura del disturbo alimentare, Bonaretti ricorda un episodio: “Una domenica rimasi sconvolta perché la suora durante un discorso ai genitori disse: ‘Ho scoperto solo l’altro giorno che l’anoressia è una patologia psichiatrica. Ero convinta che si trattasse solo di ragazze viziate, capricciose e stronze che trascorrevano la vita inginocchiate davanti a un cesso’. Ma come si può curare una patologia se non si è nemmeno consapevoli che sia tale?”.
La via crucis dentro Shalom
L’ex ospite dopo circa cinque mesi di permanenza in comunità, tutti passati in punizione, il giorno di Pasqua sarebbe stata coinvolta in una recita molto particolare: “Durante la celebrazione della messa dovevamo rappresentare la resurrezione e mi dissero che sarei stata Gesù. Mi fecero i boccoli e dovevo uscire come Gesù risorto. Ma tutto ciò era assolutamente simbolico: io avevo passato la via crucis e ora grazie a loro ero risorta. Io non ho mai detto ‘voglio stare qui’, però ho smesso di dire ‘voglio andare a casa’. Perché vedevo che l’avrei pagata soltanto io”.
Le punizioni delle altre
Enrica Bonaretti ricorda le punizioni che avrebbe visto subire dalle altre ragazze: “Rosalina aveva scoperto che tre vecchie della comunità avevano scambiato dei bigliettini d’amore con dei vecchi e lei aveva punito tutte noi. Io stavo già scontando la mia punizione in isolamento alla legna, ma quando tornai subii il seguito della punizione che era iniziata sei mesi prima: lei ci segregò per un anno all’interno di questo loft, costringendoci a lavorare. Non potevamo uscire”. E ancora: “Una volta Rosalina obbligò una ragazza incinta al nono mese che non voleva continuare a mangiare uova pensando che le avrebbero fatto male, la ragazza vomitò e lei le fece mangiare il suo vomito. Un’altra punizione che ricordo è che una ragazza non voleva lavarsi e lei la portò nella fontana, all’ingresso di Shalom, prese lo scopettone del water e la lavò dentro la fontana. Lei impedì a un ragazzo di bere per due giorni a luglio perché aveva dimenticato di dare l’acqua ai fiori”.
Sempre a proposito della fondatrice di Shalom, Enrica ricorda altri episodi ancora vividi nella sua memoria: “Vidi una ragazzina di 17 anni, entrata a 14, che, solo perché aveva detto che avrebbe voluto tornare a casa, era stata morsa dai cani al seno e la suora le aveva rotto tutti i capillari di un occhio, mentre l’altro era chiuso e gonfio. Un altro episodio allucinante è stato una ragazza che aveva passato un anno in isolamento, era stata mandata nello stanzone sotto terra. Al termine del pasto si alzò e prese un coltello, se lo infilò nel petto e disse: ‘è questo che volete?’. Io andai da lei e le tirai via il coltello e le chiesi perché l’avessi fatto, lei mi fece un sorriso”. A colpire Enrica Bonaretti, all’epoca una giovane studentessa, è stato anche un episodio di violenza psicologica, perpetrata sempre da Rosalina: “La suora era una grande urlatrice e aveva una mente fervida e diabolica. Era capace di gridare per ore frasi cattive, crudeli, volgari. Ricordo che ero arrivata da poco, c’era una donna sui 40 anni. Era entrata per problemi di depressione. Io ricordo che la suora arrivò e gridò contro di lei, dicendole che era responsabile della morte di cancro del marito e delle figlie che utilizzavano droghe. Lei però voleva andare via e la suora alla fine la lasciò andare, dopo un pomeriggio, a porta chiusa, insieme a lei. La ragazza è tornata a casa e si è impiccata. La suora strumentalizzò questa storia dicendo: ‘Vedete, uscite e vi suicidate; uscite e morite’”.
La speranza di un posto in psichiatria
Dopo mesi di punizioni, un barlume di luce si sarebbe acceso quando Enrica ricevette una notizia: “La suora mi fece chiamare e mi disse che, dato che ero un caso senza speranza, avevano deciso di sbattermi in psichiatria. Nonostante non si trattasse certo di una proposta allettante, la notizia mi riempì di gioia, perché finalmente lasciavo quel posto terribile. Invece era tutta una messinscena. Mi portarono all’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, struttura che non mi avrebbe mai accettato, non avendo io ricevuto alcuna condanna, e apparve lo psichiatra volontario della comunità, il quale mi aumentò ulteriormente la terapia e mi rispedì a Shalom”.
La fuga
Enrica Bonaretti ci racconta che non ha mai voluto cedere ai ricatti e alle punizioni, nella speranza che la responsabile della comunità arrivasse a cambiare idea sul suo conto e la lasciasse andare. “Un giorno un vecchio mi disse: ‘Enrica, la suora non ti manderà mai via di qui, piuttosto ti lascia morire. Quindi se vuoi scappare, scappa dalla parte femminile”. Così l’ex ospite ci racconta di aver iniziato a pensare di scappare dalla comunità: “O scappavo o morivo”, dice Enrica. “Ricordo il giorno della fuga come uno dei più belli della mia vita. Non si poteva scappare da Palazzolo sull’Oglio, ma nel 2007 la suora aveva inaugurato un’altra comunità, Villa d’Adda. La suora mandò un gruppetto di noi a fare le pulizie. Lì non c’erano le recinzioni alte tre metri e mezzo come a Palazzolo, non c’era il filo spinato, per cui era fattibile. Scappammo dalle docce di notte. Io e questa mia cara amica. Corremmo, corremmo. Era difficile anche orientarci, perché non sapevamo dove ci trovavamo. Ci nascondemmo in un distributore di benzina e chiesi un passaggio a un’auto che si fermava. Fummo fortunate, arrivammo a Milano. Io sapevo che bastava far passare la notte, perché il giorno dopo avrei chiesto aiuto al mio migliore amico e sapevo che lui ci avrebbe nascosto. Allo stesso tempo sapevo che la suora si sarebbe mossa per cercarci”.
Le ricerche della suora
Come hanno raccontato tanti ex ospiti che sono andati via da Shalom scappando, anche nel caso di Enrica Bonaretti la suora avrebbe organizzato una “squadretta” per la sua ricerca. Stavolta, però, non sarebbero stati coinvolti solo i vecchi della comunità, ma anche la sua famiglia: “La sera in cui scappammo, la suora aveva detto ai miei genitori che ci avevano rapite i rumeni. Questo perché, nel trambusto generale della nostra fuga, quella sera scappò anche un’altra ragazza, rumena, che era stata tolta dalla strada dai carabinieri e affidata a Shalom. I miei genitori, terrorizzati dall’idea che fossimo state rapite, si misero a cercarmi già la notte stessa”. Nel frattempo, le due ex ospiti in fuga, pensando anche al loro futuro, chiedevano aiuto a dei professionisti: “Contattai un avvocato e un assistente sociale, per tutelarmi, ché non potesse di nuovo accadere che qualcuno ci prendesse, ci segregasse contro la nostra volontà e ci facesse sparire per anni”. I parenti di Enrica Bonaretti intanto avrebbero continuato le ricerche: “Quando fu chiaro che questa pista dei rumeni era una bufala, mio fratello doveva fornire gli indirizzi dei nostri amici, così che loro potessero entrare casa per casa per vedere se fossimo dentro. La suora pretendeva che mio fratello si appostasse alla stazione centrale di Milano per giorni e giorni per riacciuffarci. Mio padre, dopo aver passato alcuni giorni a contatto con la suora, capì che si trattava di una donna estremamente manipolatrice e non affidabile”.
La denuncia respinta
Per circa una settimana Enrica Bonaretti non avrebbe contattato i familiari – “Ero terrorizzata all’idea che mi riportassero dentro” – ma una volta al sicuro avrebbe deciso di andare a denunciare con un'altra ex ospite: “Siamo andate in una stazione dei carabinieri di Milano. Ero intenzionata a fare una denuncia contro la suora, contro la comunità e l’avrei denunciata per sequestro, per maltrattamenti, per torture, per abuso psichiatrico, per abuso di mezzi di correzione, per abuso di potere e per violenza privata. Purtroppo i carabinieri quando andammo si rifiutarono di scrivere la denuncia. Ci dissero: ‘Voi siete due ragazze scappate da una comunità, quindi di conseguenza considerate problematiche, che vogliono denunciare una suora che passa per una santa. Lei vi distruggerà. Per me era una coltellata, l’ennesima”.
Solo dopo Enrica Bonaretti è venuta a sapere che la sua fuga sarebbe stata strumentalizzata ancora da Rosalina, prassi, questa, confermata anche da altri ex ospiti. “Ha detto che mi drogavo, che stavo male, che ero in mezzo a una strada, che avrei voluto tornare in comunità, ma era lei a non volermi. Tutte menzogne per intimorire le ragazze: io frequentavo l’università e mi comportavo in modo ineccepibile”.
La vita dopo
Nonostante fosse libera, però, la sofferenza di Enrica Bonaretti non era finita con la fuga: “Durante quei 19 mesi non avevo risolto nessuno dei miei problemi e, anzi, dopo Shalom, ho iniziato a soffrire di disturbi molto più gravi. Come il disturbo da stress post traumatico, con difficoltà nel controllare le emozioni, irritabilità e rabbia improvvisa. Lavoravo come una macchina senza sentire la fatica e solo in questo lavoro estenuante mi sentivo a mio agio. Ho iniziato a soffrire di disturbi alimentari e questi problemi, che mi hanno accompagnato per i successivi 10 anni, hanno avuto un impatto devastante sulla mia qualità di vita. Non sentivo lo stimolo della fame e quello che assumevo lo bruciavo lavorando in continuazione. All’inizio avevo il terrore del contatto fisico e lo rifiutavo. Avevo sviluppato un blocco nell’intessere relazioni sociali e ancora oggi la mia tendenza è quella di autoisolarmi e di autoimprigionarmi. Nonostante siano passati 18 anni, mi capita di svegliarmi nel cuore della notte in preda agli incubi, angosciata, terrorizzata e a volte piangendo: sogno di essere ancora in comunità e di non riuscire a scappare”.
Il giudizio di Enrica Bonaretti sulla comunità di Rosalina Ravasio è netto: “Credo che nessuno meriti di ricevere quello che alcuni di noi, ex ospiti di Shalom, abbiamo subito. Non esagero dicendo che questa esperienza a me ha rovinato la vita e che queste ferite non potranno mai completamente rimarginarsi”.