“Ho arrestato Messina Denaro e poi ho pianto con mio padre”: il ricordo di Turco, carabiniere del Ros
Appena apri la porta della caserma dei carabinieri del Ros all'aeroporto Boccadifalco a Palermo ad accoglierti è il sorriso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in una foto con una cornice argento appesa al muro. Sul lato sinistro della cornice è affrancata un'immagine di Don Pino Puglisi. Sorride Don Pino. Poco distante dalla caserma c'è la sua Brancaccio, il quartiere dove ha prestato servizio per anni e dove la mafia lo ha ucciso.
Ad accoglierti a Boccadifalco sono questi tre sorrisi. Gli stessi che avrà visto anche Matteo Messina Denaro lo scorso 16 gennaio quando anche lui ha varcato quella porta per la prima e per l'ultima volta: i carabinieri Pietra e Turco (nomi di battaglia) lo hanno fermato fuori dalla clinica della Maddalena e lo hanno arrestato.
Qui in caserma a Boccadifalco il boss di Trapani ha firmato il verbale e si è sottoposto alle procedure di rito. A guardarlo in quei momenti – come hanno raccontato i carabinieri a Fanpage.it – c'erano tutti i carabinieri del Ros di Palermo, quei militari che per anni e anni hanno sacrificato tempo libero e vita privata per dargli la caccia. Il 16 gennaio lo hanno visto in faccia per la prima volta, hanno toccato il super latitante e hanno avuto la conferma che esisteva. Che non era un fantasma a riempire le loro giornate fatte di intercettazioni e indagini. No, Matteo Messina Denaro era lì. Per la prima e per l'ultima volta.
Ma quali sono i pensieri di questi militari che hanno rincorso il primo ricercato d'Italia? Che vita hanno fatto? Che lavoro c'è dietro a un arresto come quello del 16 gennaio?
Ancor prima di chiacchierare con i militari, l'interno della caserma già da sola svela soprattutto una cosa: Boccadifalco è una famiglia. Lo si capisce quando vedi vestiti e scarpe agli angoli degli uffici. Quando entra un militare da una corsa e va a farsi la doccia in bagno. Quando qualcuno all'ora di pranzo entra con i panini per i colleghi. Qui si mangia spesso a pranzo e cena insieme. Lontano da famiglie a cui i militari non possono svelare nulla.
Lo stesso è accaduto dal 14 al 16 gennaio. In quei primi giorni del 2023 si percepiva che non sarebbe stato solo "un buon anno ma anche l'anno buono". Ad arrestare Matteo Messina Denaro quel giorno davanti alla clinica della Maddalena, insieme a Pietra, c'era Turco (i nomi di battaglia di due militari). In ogni angolo della vie accanto c'erano gli altri uomini del Ros (Raggruppamento operativo speciale) e del Gis (Gruppo d'Intervento Speciale).
"Siamo scoppiati tutti a piangere – ha raccontato a Fanpage.it Turco -. L'emozione era tanta. Subito dopo aver abbracciato i miei colleghi, la prima chiamata che ho fatto è stata a mio padre". Turco ha raccontato la sua vita di sacrifici e ha spiegato cosa si prova ad aver arrestato l'uomo più ricercato d'Italia. Cosa si prova ad aver realizzato un sogno.
Cosa è successo la mattina del 16 gennaio?
Poco prima le 9.10 il comandante della sezione Crimor fa girare una fotografia che immortala Matteo Messina Denaro vestito con il montone arancione mentre fa il suo ingresso alla Clinica della Maddalena ma che in realtà sappiamo essere già uscito. Quindi io e altri colleghi impegnati nella cinturazione della Maddalena iniziano subito a cercarlo nelle vie circostanti.
Arrivati in via Domenico Lo Faso noto la sagoma della persona della foto all'interno di un'auto bianca, era seduta nel lato passeggero. Si gira verso di me, lo riconosco subito. Anche perché ho notato una somiglianza incredibile con la sorella maggiore Rosalia.
Lo faccio scendere dalla macchina. Intanto un altro collega blocca l'autista, Giovanni Luppino. Li immobilizziamo e li accompagniamo a terra. In pochi secondi arrivano tutti gli altri colleghi del Ros e del Gis. Ci rendiamo conto che abbiamo realizzato il nostro sogno: Matteo Messina Denaro è nelle nostre mani.
Cosa avete fatto voi colleghi dopo l'arresto del boss?
Dopo aver messo in sicurezza i due arrestati, tra noi militari ci siamo abbracciati e siamo scoppiati a piangere. Sono passati mesi ma devo dire che questa cosa mi fa ancora emozionare tantissimo. Ricordo tutto quello che è successo in quei pochi secondi: è la realizzazione di un sogno. Mi sono arruolato per questo: il mio obiettivo era quello di arrestare un latitante. In quell'istante era il latitante numero uno in Italia se non in Europa.
Quanti sacrifici ci sono dietro a una cattura simile?
Tanti. E anche da parte delle nostre famiglie, che ci hanno viste per troppo poco tempo. In quegli istanti si pensa anche a questo.
Chi è stata la prima persona che ha chiamato e a cui hai detto di aver arrestato Matteo Messina Denaro?
È stato mio padre. Perché sapeva poco del mio lavoro negli ultimi anni: in pochi secondi l'ho informato di tutto quello che non sapeva. Siamo scoppiati entrambi a piangere. Mio papà si è commosso anche perché quando gli avevo comunicato la mia decisione che sarei andato in questo reparto mi ha lasciato intendere che non era concorde con la mia scelta, anche se non me lo ha detto espressamente. Me lo aveva fatto capire.
Ho pensato a lui, perché so che i sacrifici erano stati tantissimi: ho sacrificato lui, mia madre, la mia famiglia. Però almeno non era stato tutto vano, anzi con quell'arresto tutto è stato ripagato. E credo che mio padre abbia capito.
In tutti questi anni non hai mai pensato di lasciare tutto e cambiare reparto?
Ci sono momenti in cui si pensa di aver fatto la scelta sbagliata: a fine giornata si arriva molto stanchi, molte ore di lavoro. Quando l'obiettivo sembra lontano siamo essere umani. Ma dentro di me c'è sempre stato qualcosa che mi ha spinto a restare.
A cosa ti aggrappavi in questi momenti di sconforto?
Mi aggrappavo al sogno che avevo da bambino: volevo sempre arrestare grossi latitanti. Questo mi spingeva a sopportare tutto. Le lacrime che ho visto scorrere sugli occhi di diversi colleghi fanno capire che dietro a questi passamontagna ci sono persone che hanno raggiunto un sogno e hanno sacrificato parte della loro vita per realizzarlo.