“Hanno lasciato morire nostro figlio annegato, i suoi ‘amici’ pensavano a cosa dire ai carabinieri”
"Abbiamo promesso giustizia a nostro figlio: non ci arrenderemo mai, fino al nostro ultimo respiro sarà così". Trattiene a stento le lacrime Nadia Pisciotta, la giovane madre di Liborio Vetrano, il ventenne morto all'alba del 13 aprile 2019 in seguito ad un tragico incidente, in provincia di Reggio Emilia, mentre era di ritorno a casa dopo una serata in discoteca con alcuni coetanei. L'auto sulla quale viaggiava insieme ad altri quattro ragazzi è finita fuori strada a pochi chilometri da casa sua, a San Martino di Rio, ribaltandosi in un canale e intrappolando fatalmente Liborio, l'unico a non riuscire ad uscire dalla vettura perchè incastrato a testa in giù dalla cintura di sicurezza. Alla guida del mezzo c'era uno dei suoi migliori amici, Samuele Margini, risultato poi positivo all'alcol test. Non solo: gli accertamenti dei carabinieri, un anno fa, misero anche in luce come quella notte l'auto con il gruppo di giovani viaggiasse ad una velocità di oltre 90 chilometri orari rispetto ai cinquanta consentiti del tratto della tragedia, portando Margini davanti al giudice di Reggio Emilia, dopo aver chiesto il patteggiamento, col capo di imputazione di omicidio stradale. Lo scorso 2 marzo è così arrivata la sentenza: due anni e sei mesi, con pena sospesa, e revoca della patente per un numero di anni insufficiente secondo i genitori di Libo, ovviamente contrariati dall'esito del procedimento nei confronti dell'amico del figlio. "Sono cresciuti insieme, si conoscevano da una vita" conferma Calogero Vetrano, il padre della giovanissima vittima, originario di Menfi, in Sicilia, così come la moglie, che dice: "Me lo hanno ammazzato due volte e chi lo ha ucciso non è stato punito. Liborio era un ragazzo solare, di grandi valori, amava la vita e soprattutto non l'ha mai sfidata. Aveva fin da piccolo la passione per il calcio e lavorava come se dovesse mantenere una famiglia: era il nostro orgoglio".
La rabbia per la famiglia Vetrano nei confronti della sentenza sull'autista di quella serata, alla quale sono pronti ad appellarsi per riaprire il caso, sta tutta nelle parole del padre di Libo: "Gli hanno accettato tutte le attenuanti e la vergogna è che non dovrà scontare neanche un giorno di carcere o ai domiciliari. Non che questo ci potrà riportare indietro nostro figlio, però deve pagare per capire l'errore che ha fatto e per evitare di ricommetterlo". "Non è mai venuto a casa nostra per chiedere perdono" aggiunge la madre della vittima. "Ha continuato a fare la sua vita senza chiedere perdono o senza fare nulla per cercare di rimediare, nè lui e neanche la sua famiglia" chiosa il padre. Il loro obiettivo, adesso, è mantenere i riflettori accesi su quanto accaduto un anno fa e andare fino in fondo anche su alcuni punti che a loro non tornano. Dai tempi di arrivo dei soccorsi (oltre 40 minuti) ad alcune incongruenze nei referti, a partire dal tasso alcolemico di Margini: 1,19 negli atti del tribunale, 1,34 secondo i controlli fatti sul posto dopo l'uscita di strada.
E non è tutto. Fra i componenti del gruppo che viaggiava a bordo della Fiat Panda finita nel canale c'era anche Tarik Lamsyer, l'unico che ha subito cercato di fare qualcosa per salvare la vita di Libo, ma inutilmente. "Ho chiesto agli altri di darmi una mano, ma a parte un altro ragazzo non c'è stato un aiuto collettivo. Se ne fregavano. Uno era sul cordolo della strada a pensare al suo abbigliamento, il guidatore pensava a cosa aveva bevuto e l'altro ogni tanto guardava, forse l'avevamo presa tutti alla leggera, mi ci metto dentro anche io" ammette il giovane, il quale però non è mai stato ascoltato dai magistrati per spiegare quanto accaduto. "Dovevamo pagarla tutti e quattro" aggiunge. E forse in effetti si sarebbe potuto fare di più per salvare la vita di Libo. "Quattro uomini, perchè mio figlio a 20 anni era già un uomo, con l'acqua che arriva alle ginocchia una Punto la riescono a ribaltare -sottolinea Nadia-. La legge non può far passare questo messaggio e condannare a noi l'ergastolo, ma deve punire e far riflettere chi ha rovinato la nostra vita". "Non si può archiviare tutto così, troppo facile -conclude invece Calogero Vetrano-. Non sappiamo neanche a che ora c'è stato effettivamente il decesso, quindi ci sono diverse questioni da chiarire per capire se c'è stata o meno omissione di soccorso". "Perchè nessuno ci ha chiamati?" si chiedono infine i genitori di Liborio. "Lo avremmo tirato fuori noi da quella macchina".