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Hanno denunciato e hanno perso tutto: la legge (che non arriva) per i testimoni di giustizia

Oggi a Roma sono presenti diversi testimoni di giustizia che attendono una legge che li riconosca e che aspettano da anni. E le loro storie sono un manifesto di incuria da parte dello Stato per i suoi uomini migliori.
A cura di Giulio Cavalli
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È di corsa Ignazio Cutrò, oggi è una giornata fondamentale per i testimoni di giustizia in Italia e lui, che è presidente dell'associazione che li riunisce, sa bene che con la fine della legislatura alle porte difficilmente ci sarà una seconda occasione. In Senato si discute della legge 2740, "Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia", che per la prima volta in Italia potrebbe mettere ordine nelle vite delle persone che hanno deciso di denunciare i propri aguzzini (o che sono stati testimoni di un reato) e per questo si sono ritrovati stretti nella morsa di una vita spesso sempre in fuga, scortati e nascosti sotto falsa identità. "Questa legge per noi è fondamentale – spiega Cutrò – perché dopo 30 anni finalmente definisce con chiarezza la figura del testimone di giustizia. Stabilisce che il testimone ha il diritto di rimanere nella località di origine, protetto ma senza scappare, e garantisce la tutela per lui e per la sua famiglia. Io stesso, interpellato in qualità di presidente, ho proposto anche che si valuti la possibilità di destinare una quota degli appalti pubblici alle aziende dei testimoni di giustizia e che a loro vengano assegnati i beni confiscati. Così non può succedere che qualcuno fallisca solo perché ha denunciato, come è successo a me". Cutrò, con le sue denunce, ha fatto arrestare i suoi estorsioni ma negli scorsi mesi è stato costretto a dichiarare fallimento della sua azienda edile a Bivona (Agrigento) per il vuoto professionale che gli si è creato attorno.

"Siamo a Roma per mettere pressione al Senato: la legge è già stata votata alla Camera ma un emendamento proposto dal senatore Mineo rischia di bloccarla. A noi la legge va bene così com'è. Siamo a fine legislatura, non ci si può permettere di perdere questa occasione. Poi, fatta la legge, ci sarà eventualmente tutto il tempo di migliorarla", spiega Cutrò.

Ma Cutrò non è solo, con lui ci sono altri testimoni di giustizia che hanno deciso di arrivare fino a Roma per "vigilare" sulla legge e le loro storie sono capitoli importanti di questo nostro Paese. C'è Gennaro Ciliberto, che da responsabile sicurezza di una ditta che si occupava alla costruzione e alla manutenzione di alcune autostrade  denunciò l'infiltrazione mafiosa all'interno di alcuni appalti e diverse anomalie nelle costruzioni e per questo è finito sotto programma di protezione, sempre in fuga: il mese scorso era tornato a Somma Vesuviana per una visita al cimitero ai suoi cari ed è stato minacciato davanti alla sua stessa scorta.

C'è Alberto Piazzese, che nel 2000 dopo avere aperto un pub nell'Isola di Ortigia denunciò i suoi estorsori che volevano costringerlo ad installare i videopoker del clan. Nel 2002, nel giro di pochi giorni, il suo locale subì due gravissimi attenti incendiari che si ripeteranno alche l'anno successivo. Dal 2004 la sua vita è "costretta" al piano di protezione testimoni.

C'è Giuseppe Carini, il teste chiave del processo di don Pino Puglisi che nel quartiere palermitano di Brancaccio venne ucciso sotto casa sua da due killer agli ordini dei fratelli Graviano. Aveva 25 anni Carini quando ha dovuto rinunciare alla sua vita e ha dovuto rinunciare agli studi universitari di medicina, alla famiglia che l'ha rinnegato, al proprio nome e al luogo di origine. Oggi Carini è una delle anime dell'Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia.

C'è M. C., una delle due sorelle calabresi che denunciarono gli assassini dei fratelli e non hanno ancora smesso di avere paura e chiedono che non si faccia il loro nome. C'è un imprenditore campano, nel settore dei supermercati, che ha denunciato le pressioni mafiose e sta aspettando di essere riconosciuto come testimone di giustizia. E poi ci sono tutte le storie di quelli che non oggi a Roma non hanno potuto venire fisicamente ma vivono tutti i disagi di una condizione che ha bisogno di un urgente riordino legislativo: Antonio e Francesca Candela sono dovuti scappare da Rocca Sicula e ora alla loro odissea si sono aggiunte le difficilissime condizione di salute di lui; Pietro Di Costa ha addirittura deciso di uscire dal programma di protezione (come avvenne per Lea Garofalo, uccisa dal suo ex marito a Milano nel 2009); Gianfranco Franciosi (che fu "infiltrato" nei narcos) ha scritto un libro in cui si dichiara "abbandonato dallo Stato" e ha deciso di uscire dal programma di protezione per protesta e andarsene. Storie così terribilmente uguali nella sfiducia verso le istituzioni e per la mancata gratitudine di un Paese verso i suoi uomini migliori. Ora sperano di cominciare a "esistere".

*aggiornamento 21 dicembre: oggi finalmente la legge è stata approvata anche al Senato con 179 sì e nessun voto contrario. "L'approvazione in legge dello Stato del disegno di legge di riforma dell'attuale programma di protezione sui Testimoni di giustizia e' un risultato di carattere eccezionale destinato a fare la differenza nel sostegno a coloro che, da onesti cittadini, hanno testimoniato nei processi contro le mafie. Da presidente dell'Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia – afferma Ignazio Cutro' – non posso che esprimere tutta la nostra gioia".

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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