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Omicidio di Fermo

Gli amici di Emmanuel, vittima dell’odio: “Abbiamo paura che possa accadere di nuovo”

L’assassino di Emmanuel in molti l’avrebbero visto circolare serenamente per la città dopo aver massacrato di botte un uomo. In molti, inoltre, raccontano che insultare i “negri” era per lui una sorta di hobby.
A cura di Davide Falcioni
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Omicidio di Fermo

Camera 33. Un uscio di legno alla buona lungo un corridoio buio al secondo piano del Seminario Arcivescovile di Fermo. Sulla porta, che si trova proprio di fronte all’ufficio legale, un foglio bianco reca due nomi: Emmanuel Chidi Namdi e Chimiary  Emmanuel, l’uomo e la donna aggrediti due giorni fa mentre raggiungevano il centro della città in cerca di una farmacia. Quella stanza, l’unica ad ospitare una coppia in questa struttura di soli immigrati uomini, ora è vuota. Non possiamo visitarla perché il culto funebre nigeriano vieta di entrare nella camera appartenuta a un defunto pochi giorni dopo la sua morte. Noi immaginiamo che ci siano i vestiti di lui, i trucchi di lei, un letto matrimoniale. Gli oggetti della vita quotidiana di due persone che avevano lasciato insieme la Nigeria per realizzare un progetto di vita in Europa, in un luogo che credevano sicuro e dove invece Emmanuel è stato ucciso. Immaginate il paradosso: fuggiti da Boko Haram, scampati a un attentato che ha devastato il loro villaggio e ucciso tutti i loro familiari, sono sopravvissuti al viaggio in Niger e alle torture in Libia. In quel paese hanno concepito un figlio. Emmanuel e la Chimiary si sono imbarcati su un gommone, sono arrivati stremati in Sicilia poi sono stati condotti a Fermo. Lei aveva un’emorragia interna per un aborto spontaneo provocato proprio dalle botte degli aguzzini libici. Hanno superato il trauma, a gennaio don Vinicio Albanesi li ha sposati in una chiesa di campagna.

Camera 33: Tyan, un amico gambiano di Emmanuel e Chimiary va avanti e indietro lungo il corridoio. Ha 27 anni, parla correttamente italiano. Ha il volto provato dal dolore; uno dei suoi più cari amici è morto ammazzato a poche centinaia di metri da qui. “Era il mio migliore amico, Emmanuel. Ogni mattina ci vedevamo qui, lungo questo corridoio. Era un uomo simpatico, sorrideva sempre, chi dice che è stato lui ad aggredire l’italiano mente. Era una persona tranquilla, giocavamo a calcio insieme mentre Chimiary   preferiva trascorrere molto più tempo nella sua stanza, visto che non ci sono altre donne. Anche a me è capitato di venire insultato in strada, ma adesso ho paura. Siamo arrivati in Italia pensando che saremmo stati liberi, invece scopriamo che ci sono persone che possono ucciderci di botte e poi circolare come se nulla fosse stato. Abbiamo paura che possa accadere di nuovo”.

Camera 33: suor Rita Pimpichini, responsabile della struttura, guarda quella porta mentre parla al telefono con i giornalisti che la tempestano di chiamate. Mi spiega che Chimiary, moglie di Emmanuel, è in una stanza poco distante. Ha frequenti attacchi di panico e per questo due infermiere le restano sempre accanto. Non possiamo incontrarla, non possiamo farle domande. Non parlerà con nessuno fin quando non starà un po’ meglio: ieri sera, però, ha voluto esserci anche lei alla fiaccolata organizzata in sua solidarietà e a cui hanno preso parte centinaia di persone. Improvvisamente ha chiesto di intervenire e, con voce profonda, ha cantato – o forse declamato – il suo amore per Emmanuel: "Dio dove sei? Perché mi hai lasciato in questo mondo cattivo senza Emmanuel? Vivere da soli è uccidere la mia vita". Questo, ha spiegato, è il senso della canzone.

Camera 33: qui un operatore si intrattiene a parlare con noi. Spiega che in città molti sapevano chi fosse questo Amedeo Mancini, il 38enne imprenditore agricolo accusato dell’omicidio di Emmanuel. In molti l’avrebbero visto circolare serenamente per la città dopo aver massacrato di botte un uomo. In molti, inoltre, raccontano che insultare i “negri” era per lui una sorta di hobby. Appostato su una panchina, era solito dare della scimmia agli immigrati. Un fascista. Non ci sono altri termini per descriverlo: “Ci sono piccoli gruppi di persone che si sentono di appartenere evidentemente alla razza ariana", aveva chiarito già da ieri don Vinicio Albanesi. Non solo: anche gli attivisti dell’Officina Trenino, un piccolo centro sociale, aggiungono: “Era legato  a doppio filo con l’estrema destra, lo ricordiamo in prima fila al tentativo di comizio di Matteo Salvini a Porto San Giorgio, lo conosciamo anche come personaggio tollerato negli ambienti della curva fermana. Si sa come vanno le cose oggi, due braccia forti e una voce in più per un coro, fanno sempre comodo, non importa se sei nazista, questa non è più una pregiudiziale, almeno nell’ambiente fermano dello stadio di oggi”.

Camera 33: ora regna un silenzio irreale, gli ospiti sono chini sui loro piatti in sala da pranzo. Alcuni, però, se ne stanno in silenzio in disparte. Dicono di essere impauriti, aggiungono che non immaginavano che in Italia avrebbero trovato questa accoglienza. Ignorano, forse, che questa provincia italiana ha già conosciuto la violenza e il razzismo. Alfano, che mentre scriviamo è nella prefettura di Fermo, dovrebbe sapere che proprio qui, a Fermo, lo scorso anno due lavoratori stranieri – Mustafà e Avdyl – furono uccisi per aver “osato” chiedere lo stipendio al datore di lavoro. Pochi giorni fa, a una manciata di chilometri da qui, due venditori di rose bengalesi sono invece stati malmenati da ragazzi che prima hanno chiesto loro se conoscessero il Vangelo. Ma le violenze ai danni degli immigrati sono state anche altre e soprattutto sono state ben tollerate dai cittadini e dalle istituzioni. Classificate come “ragazzate”, si sono ripetute in un humus fatto di insensibilità e paura, tra le coscienze ormai putrefatte di migliaia di persone infastidite nel vedere un immigrato in strada, o in un negozio. E’ il fascismo che avanza nel disinteresse assoluto, e la morte di Emmanuel ne è l’ennesima prova.

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