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Giustificare uno stupro non è libertà di opinione, è barbarie

A ogni notizia di stupro, lo stesso copione: insulti, denigrazioni, colpevolizzazioni della vittima. Si veste in maniera discinta, se l’è cercata. Un corollario di stupidaggini scritte con leggerezza e difese dagli interessati invocando il diritto a esercitare la libertà di opinione, pensando che questo diritto in qualche modo eviti all’autore le conseguenze dei propri giudizi.
A cura di Charlotte Matteini
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"Se l'è cercata", il refrain sempre in auge quando le agenzie di stampa battono la notizia di uno stupro ai danni di una ragazza, peggio ancora quando la ragazza è molto giovane. Le minigonne, le scollature, i tacchi troppo alti, la provocazione, il corollario di scuse da cui si attinge per giustificare in qualche maniera lo stupratore e colpevolizzare la vittima è molto ampio e ben fornito di motivazioni di ogni tipo. L'ultimo caso di cui si sta molto parlando in questi ultimi giorni è quello dello stupro di gruppo di una ragazzina a cui avrebbero partecipato cinque ragazzi minorenni.

Secondo quanto riporta il quotidiano Il Mattino ma anche secondo quanto si legge in calce a molti articoli pubblicati da varie testate online – di commentatori che si scagliano contro la vittima ce ne sono a bizzeffe. "Avete visto come si concia e se ne va in giro?" scritto presumibilmente da uno dei parenti dei ragazzi arrestati. E poi, ancora: "Se fate le troie, questo meritate", "Se vai in giro con le cosce di fuori, te la vai a cercare" e decine di altri commenti dello stesso genere, scritti in un italiano più o meno corretto, utilizzando parole più o meno educate. Per amor di verità, analizzando commenti di questa risma sui social network, la statistica rileva uno schiacciante 90% di frasi sconnesse e sgrammaticate, unite a parole e definizioni della vittima che definire sgradevoli sarebbe un eufemismo.

Partendo dal fatto che qualsiasi notizia di reato va verificata e che non basta la sola denuncia per condannare i presunti colpevoli, la prospettiva sui social è completamente ribaltata: la vittima diventa carnefice, il carnefice diventa vittima e alla vera vittima vengono rivolti insulti di ogni tipo, consigli non richiesti, puntuali valutazioni della persona vergate dalla mano di un utente Facebook che della vittima non solo non sa il nome, ma che della vicenda probabilmente conosce solo ciò che ha letto nel titolo dell'articolo di giornale che gli è passato sotto il naso scorrendo la timeline di Facebook.

Pochi provano a far notare a lorsignori che lo stupro è un reato e che lo sarebbe anche se la vittima in questione se ne andasse in giro completamente nuda e che nulla può giustificare un gesto del genere, tantomeno nulla può giustificare l'accanimento di esimi sconosciuti nei confronti della vittima, che sfogano le loro personali frustrazioni commentando e denigrando una persona che non hanno mai visto nella loro vita. A chi cerca di far rinsavire lorsignori, viene riservato un unico trattamento: il vaffanculo. Io la penso così, cosa vuoi? Non esiste più la libertà di opinione? Io dico e scrivo quello che voglio, siamo in democrazia. E frasi di questo tenore. Insomma, secondo lorsignori giustificare uno stupro e denigrare la vittima di una violenza sessuale sarebbe una banale manifestazione di opinione, esercizio del diritto di libertà di espressione.

Bisognerebbe invece chiarirlo, questo qui pro quo: sostenere che una ragazza lo stupro se lo vada a cercare perché ha deciso di mettersi un vestito corto non è affatto la manifestazione di una propria opinione e che esista la libertà di esprimere liberamente il proprio pensiero non mette al riparo da quelle che sono le conseguenze scaturite dall'esprimerla su un social network, conseguenze che talvolta sono solo dialettiche, altre volte sfociano nel legale. Insomma, se volete essere liberi di dire che la ragazza dal vestito corto lo stupro se l'è cercato, io voglio essere libera di ribattere che chi la pensa così è feccia della peggior specie.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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