Giovanni Erra, permessi premio per l’assassino della piccola Desirée: uscirà dal carcere
Giovanni Erra, dopo di 14 anni di prigione, ha cominciato a uscire dal carcere: una volta ogni tre settimane va in una comunità accompagnato da un'assistente volontaria. E' il primo contatto del detenuto con l'esterno dopo, appunto, molti anni di prigione e un lungo girovagare per i penitenziari italiani. Giovanni Erra è stato condannato a 30 anni per l'omicidio della quattordicenne Desirée Piovanelli, che fu massacrata il 29 settembre 2002 a Leno, in provincia di Brescia, dal branco, composto da tre ragazzini tra i 14 e 16 anni e da Giovanni Erra, l'adulto guardone, drogato e corrotto. Oggi ha 50 anni ed è detenuto nel carcere di Bollate, fa il falegname e sogna di poter presto tornare a casa, dalla sua famiglia. In tutti questi anni, infatti, la moglie e il figlio non l'hanno mai abbandonato.
Nei mesi scorsi Erra ha accettato di scrivere la sua verità sul delitto alla giornalista Chiara Prazzoli, con cui ha tenuto una lunga corrispondenza, finita nel libro “Lettere dall'assassino”, editore Informant. E' stato l'unico contatto con il mondo esterno avuto dal detenuto che non aveva mai accettato di essere intervistato e che è costantemente seguito all'interno del carcere di Bollate da un team di psicologi. Avrebbe fatto miglioramenti sorprendenti tanto che è cominciato, molto lentamente, il suo reinserimento nella società.
Nel libro “Lettere dall'assassino”, Erra, però, fornisce una versione completamente diversa del delitto di Desrée Piovanelli. Ed ecco, dunque, la sua sconcertante verità: «Ormai per tutti sono solo un assassino!… Ma i magistrati e i carabinieri sanno cos'è capitato quel giorno di preciso? Non lo sanno, non sanno nulla nessuno perché hanno creduto solo ai quei tre ragazzini. Tutti hanno creduto che io abbia influito negativamente su di loro, ma mi creda non è stato così… L'omicidio di Desirée Piovanelli era stato stabilito e deciso da loro e basta. Non da me. Io sono Giovanni il pirla. Non nego di aver fatto uso di droga. Non nego di avere avuto in vita mia tante incertezze. Ho fatto cose brutte: vendevo la droga oltre a usarla… Potrei dire molte cose di quei tragici momenti, ma non lo faccio… Io con l'omicidio non c'entro».
Prima di decidere se credergli o meno è opportuno ricordare che quando fu arrestato e poi ancora durante i processi, Erra diede versioni diverse di quello che accadde il giorno dell'omicidio. Una incredibile serie di versioni che innervosì molto sia i giudici che gli inquirenti e che gli costò una severissima condanna. Anche il suo avvocato dubitò di lui. Inoltre, non bisogna mai dimenticare quanto fu atroce l'omicidio di Desirèe, tanto da aver sconvolto la vita degli investigatori e degli avvocati che se ne occuparono. I legali dissero che la vista delle foto scattate sul luogo della tragedia li colpì a tal punto da togliere loro il sonno per mesi interi. Raccontò Cesare Gualazzini, difensore dei genitori della piccola vittima: «Quelle scene credo che non si vedano neanche in guerra. Ho perso qualche anno di vita per seguire questa vicenda». Andando in pensione, nel 2010, il capo capo della procura minorile di Brescia Emilio Quaranta confidò ai giornalisti: «La storia della povera Desirée e l'inumanità dei suoi assassini restano fra le cose più sconvolgenti di cui mi sia mai occupato in 44 anni, 6 mesi e 22 giorni di lavoro».
Infine, è bene precisare che le lettere del carcerato sono estremamente semplici, senza punteggiatura, senza alcun segno grafico, scritte in stampatello: sembrano cioè le lettere di un bambino, che mentre scrive si fa guidare dalle emozioni. Ed è quindi, opportuno, prima di dare un giudizio, tenere presente anche il giudizio che dà la grafologa Sara Cordella che ha esaminato la grafia di Erra. Scrive l'esperta, che è un perito de tribunale di Mestre: “Da un uomo ci si aspetta maturità, spirito di protezione, forza fisica ed equilibrio. Tutto questo manca nella grafia di Erra. Una grafia piccola, con spazi esagerati tra parola e parola, con gli ovali delle lettere aperti, parla di una persona che in nessun modo può divenire leader tra i suoi coetanei, che non può avere rapporti paritari con nessuno”.
Considerate tutti questi elementi, si deve prendere atto che Erra si proclama innocente. O meglio, non nega di aver avuto un ruolo nel delitto della piccola Desirèe, ma assolutamente respinge le accuse che gli sono state mosse e per cui è stato condannato. Ecco la sua verità: «Due cose nella mia vita sono state devastanti: la morte della povera Desirée e la droga. Non potrò mai dimenticare quello che ho fatto, perché ho avuto anch'io una responsabilità quel giorno, ma non come hanno detto i carabinieri… Io sul posto non ero presente. Sono arrivato dopo, quando tutto era già finito. Io alla cascina Ermengarda ci nascondevo la droga: era a 500 metri da casa mia. La mettevo nel camino. Poi sono salito su, al piano di sopra, perché ho visto che c'era del sangue. C'era il corpo della Desirée e io non ho capito più nulla. Sono scappato via, e sono pure caduto giù dalle scale. Non ho detto niente a nessuno di quello che avevo visto. Dio mio! E oggi penso: e se fosse stata ancora viva? Che Dio mi perdoni! Ora però devo smettere di scrivere, non riesco più a farlo. Non sono più in grado». E ancora: «Non sapevo nulla del progetto assassino di Nicola, Nico e Mattia! Avevo solo sentito che volevano fare uno scherzo a ‘Desi’, ma non credevo così spietato. Dio Santo! Non sapevo nulla dei loro schifosi scopi sulla povera Desirée… Povera, lei credeva che io l'avrei protetta, essendo grande, ma io ero in un brutto giro e non ero presente con la testa». Le lettere, scrive la giornalista Chiara Prazzoli, sembrerebbero piene di sincera sofferenza, anche se, appunto, a scriverle pare un ragazzino. Che desiderio ha ora Erra, dopo che per la prima gli si sono aperte le porte del carcere? Uno solo, che ribedisce nel corso della sua corrispondenza più e più volte: «Vorrei davvero un giorno chiedere perdono ai genitori di Desiree. Solo che questi esperti del carcere non vogliono che scriva una lettera di scuse. Desidererei tanto farlo, ma dicono di aspettare. Vorrei anche poter parlare al suo papà. Io insisto e continuo a chiederlo». Il detenuto scrive anche altro, scrive di incontrare la piccola Desirèe nei suoi sogni, ma la giornalista non pubblica quelle lettere per rispetto ai genitori della ragazzina.