Giocare a far la guerra: a chi servono gli F35? (INTERVISTA)
La questione dei cacciabombardieri F35 continua a tenere banco. L'ormai famigerata spending rewiev del governo Monti taglia in moltissimi settori, dal lavoro alla sanità, ma tocca solo marginalmente le spese militari. A dimostrarlo sono i numeri: i caccia F35 Lockheed, ordinati dal governo italiano quando a Palazzo Chigi sedeva ancora Berlusconi, vengono considerati come un investimento primario. Sono 90 gli esemplari che andranno ad arricchire il parco macchine del nostro esercito (inizialmente ne erano previsti 131) alla modica cifra di 120 milioni di euro ognuno, escluse le spese di gestione e manutenzione.
«Un paradosso», spiega ai nostri microfoni Luca Marco Comellini, segretario nazionale e fondatore, assime e Maurizio Turco dei Radicali, del PdM, il Partito per la tutela dei diritti dei militari e delle forze di polizia (non proprio una realtà antimilitarista, insomma). Eh sì, perché come già accennato il governo taglia sul lavoro ma non sulle spese relative ai mezzi: «Con la particolare situazione che avremo capannoni pieni di giocattoli ipertecnologici, senza che nessuno sappia pilotarli». Anche l'esercito, insomma, non è esente dalla crisi: «Le nostre forze si stanno sgretolando – continua Comellini – a settembre verranno tagliate migliaia di altre unità, con gente troppo giovane per andare in pensione». A questo punto il buon senso suggerirebbe: perché ostinarsi a voler continuare questo acquisto? Ce lo spiega Comellini nella nostra intervista, che nel contempo ci aiuta a ricostruire tutta la vicenda dal 2010 a oggi, quando il PdM fu l'unico, assieme ai Radicali, a presentare un emendamento alla mozione Franceschini, che prevedeva una sospensione temporanea del programma, nonché una riduzione del 50 percento dei velivoli da acquistare.