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Omicidio Giulia Cecchettin

Gino Cecchettin: “La notte in cui Giulia veniva uccisa stavo correggendo la sua tesi”

Gino Cecchettin: “Ciò che mi preme ora è fare in modo che, finita l’emozione, non ci si torni ad assopire. Noi italiani siamo bravi ad avere slanci civili ma siamo anche capaci di dimenticare in fretta. Il rumore è il campanello che ogni mattina ci deve tenere svegli e farci chiedere cosa abbiamo fatto per far finire i femminicidi”.
A cura di Susanna Picone
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La notte in cui Giulia Cecchettin usciva per l’ultima volta dalla casa di famiglia a Vigonovo, suo padre Gino non sapeva che avrebbe incontrato Filippo Turetta, l’ex fidanzato che quella sera dopo una cena insieme l’ha uccisa, e poi ha guidato per chilometri prima di abbandonare il corpo della 22enne nei pressi del lago di Barcis.

Gino aveva pranzato con sua figlia Giulia quel sabato, poi lei era andata in camera sua. Il papà le ha chiesto dalle scale che avrebbe fatto dopo e lei gli ha risposto che forse non sarebbe tornata a cena. E a quel punto Gino non le ha chiesto più nulla, anche perché – lo dice lui stesso in un colloquio col Corriere della Sera – “era una ragazza di grande responsabilità, che non aveva mai dato un problema, concentrata”.

E sicuramente Gino Cecchettin non sapeva delle tensioni di sua figlia con Filippo Turetta. “Giulia era la figlia ideale. Elena è l’essere superiore. Davide ora il mio sostegno. Giulia era brava nello studio, era naturalmente portata a occuparsi del prossimo, a prendersi in carico gli altri. Quando aveva dieci anni e andavamo in pizzeria, dopo un poco si metteva da parte e attorno a lei si riunivano tutti i bambini del locale”, così il papà ricorda sua figlia.

Giulia Cecchettin aveva fatto il liceo classico, da bambina sognava di fare la maestra, poi l’insegnante “ma si rese conto, anche parlandone con la madre, che è un mestiere, in Italia, poco considerato e poco retribuito”. Poi aveva scelto l’ingegneria biomedica ma alla fine il suo sogno era quello di fare l’illustratrice. “Tempo fa – racconta Gino – mi disse che lei si sarebbe laureata, ma poi avrebbe voluto fare una scuola di comics, era stata a un open day a Reggio Emilia. Aveva paura che ci rimanessi male, che fossi deluso. Il suo sogno, adesso, era diventare illustratrice. Le dissi che la vita va vissuta inseguendo le proprie passioni e che ero certo sarebbe diventata la migliore illustratrice del globo. Fu contenta e mi abbracciò. Leggeva molto, la sua passione era Jane Austen. Avrebbe voluto vivere in una di quelle casette ricoperte d’edera, svegliandosi nella brughiera. Lì sognava il suo futuro e la sua famiglia”.

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Gino Cecchettin ricordando la notte dell’aggressione di Giulia dice che quella sera doveva andare a prendere Davide in centro. “Aspettando il momento mi sono addormentato qui, sul divano. Quando mi sono svegliato erano le undici e trequarti. Sono tornato e lei non c’era, ma non avevo alcuna ragione per preoccuparmi, capitava, il sabato sera. Non avevo sonno e mi sono messo, come eravamo d’accordo, a correggere la sua tesi. Le ho mandato uno screenshot di un errore e solo allora mi sono accorto che era l’una e quarantacinque. Ho pensato che la mattina dopo l’avrei rimproverata, ma quando mi sono alzato non c’era e da allora è cominciato tutto”.

E parla di quella casa, dove i fratelli sono cresciuti insieme e dove adesso di fatto resta solo Davide. Elena è a Vienna, Giulia non c’è più. “Ma ce la caveremo. I miei ragazzi sono forti. Elena ha ignorato gli assurdi attacchi che ha ricevuto, ma si è sentita riscaldata dall’immensa ondata di coscienza civile di affetto che le sue parole hanno determinato nel Paese”.

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Gino Cecchettin ha parlato anche del suo rapporto con Giulia, che si era fatto più stretto dopo la morte della moglie, di quella figlia che “forse è quella che mostrava in modo più visibile il suo dolore”. “Elena e Davide sono più come me: teniamo dentro, finché possiamo. Da quando Monica non c’è più ed Elena è andata a studiare a Vienna, Giulia era diventata la coordinatrice della casa, il sabato mattina su questo tavolo lei si metteva una sacchetta a tracolla, con il walkman, e cominciava a stirare. A lei piacevano le cose del passato. Le sembrava che il tempo trascorso avesse su di sé una specie di polvere magica, che lo rendeva leggero. Una fiaba, come Il mondo di Amélie che aveva tanto amato. Giulia sembrava più piccola dei suoi ventidue anni, collezionava tappi di bottiglie, pupazzi e, se comprava una birra per il padre, le chiedevano i documenti”.

Di Turetta si limita a dire che lo avevano conosciuto quando i due erano fidanzati, che gli era apparso timido e un po’ freddo, ma non sapeva altro. “Ho saputo tutto solo dopo. Mi hanno detto che lui, la penultima volta che si sono visti, l’aveva spaventata urlando in modo forsennato. Su spinta di Giulia aveva accettato di farsi vedere da un terapeuta. Ma ne ha cambiati quattro e sempre ha fatto scena muta”.

"Quando sono riuscito a leggere gli articoli sull’aggressione – racconta ancora –  ho provato solo dolore per mia figlia che era lì, sola, spaventata, senza che io potessi aiutarla. Ho voluto vederla, dopo. La prima volta, due giorni fa, le ho toccato la gamba. Ho visto le sue mani fasciate e avevo il desiderio di stringerle. Prima che chiudessero la bara ci sono riuscito. È stata dura, ma l’ho sentita vicino a me, come non mai".

Dei genitori del ragazzo in carcere dice di non provare odio, ma tristezza e persino tenerezza. “Li abbraccio virtualmente, hanno avuto, se possibile, una disgrazia più feroce della mia”.

Infine Gino parla del suo impegno civico, del fatto che non vuole che la morte di Giulia sia dimenticata. “Ciò che mi preme ora è fare in modo che, finita l’emozione, non ci si torni ad assopire. Noi italiani siamo bravi ad avere slanci civili ma siamo anche capaci di dimenticare in fretta. Il rumore è il campanello che ogni mattina ci deve tenere svegli e farci chiedere cosa abbiamo fatto per far finire i femminicidi. Quando ho parlato di un impegno civico ho voluto dire che, con una Fondazione o in altro modo, io voglio dedicare la mia vita a far sì che non ci sia un’altra Giulia. Per me bisogna partire dall’educazione. La violenza non è un problema di altri”.

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