È una storia a lieto fine e la lotta alla mafia ha bisogno di storie così, ha bisogno che vengano raccontate il più possibile perché non solo è falso che la mafia sia invincibile ma anche perché quando lo Stato funziona e si prende la briga di essere Stato il messaggio che ne deriva è un principio di speranza. E ce n'è bisogno. Lui è Gianluca Maria Calì, e nella vita si è sempre occupato di auto: dopo qualche anno da dipendente in una concessionaria decide di mettersi in proprio e apre la propria azienda. Due sedi: Milano e Palermo. 24 dipendenti per un fatturato che arriva a toccare i 24 milioni di euro. A Palermo arrivano le prime richieste di pizzo e Calì decide di denunciare: nel 2011 decide di denunciare (dopo che cinque sue auto vanno distrutte per un incendio doloso) e da quell'inchiesta arrivano gli arresti per 21 affiliati al clan di Bagheria.
Fin qui è una delle storie che ci rendono fieri di essere concittadini di imprenditori così coraggiosi ma come troppo spesso succede gli affari cominciano a precipitare fino alla peggiore delle conclusioni: Calì chiude i suoi concessionari, si ritrova costretto a licenziare tutti i suoi dipendenti. «Secondo lei – mi dice al telefono – come vuole che crescano i figli dei miei ex dipendenti che si ritrovano ad avere un padre che non riesce più a mantenere la famiglia solo perché il suo capo ha deciso di denunciare la mafia? Vogliamo confessarci che forse crederanno che conviene pagare il pizzo e non avere problemi?».
Alle porte di Palermo c'è un'altra concessionaria, la Car Import. L'operazione "New Life" ha smantellato la banda criminale che utilizzava l'officina per smontare e rimontare le auto e "riciclarle" illegalmente sul mercato. Auto rubate o con pezzi rubati a cui veniva contraffatto il numero di telaio e che venivano vendute. La concessionaria finisce sotto sequestro e sei persone arrestate. L'amministratore giudiziario che si occupa della rassegnazione del bene è un commercialista che non capisce nulla di auto e decide di assegnare il bene a chi nel campo ha dimostrato di saperci fare e forse avrebbe bisogno anche di gratitudine da parte dello Stato. «Dobbiamo fare capire alla gente che denunciare conviene. Abbiamo l'obbligo di dare a noi vittime di mafia la stessa vita e le stesse opportunità che avevamo prima di denunciare – dice Calì, soddisfatto per avere ricevuto le chiavi della Car Import e di potere finalmente ricominciare -. La prima persona che ho voluto coinvolgere in questo progetto è Daniele Ventura, vittima di mafia come me, per poter condividere con lui questa riconquista sociale".
Un autosalone che viene restituito alla legalità e una vittima di mafia che torna a poter fare il proprio lavoro. È una bella insegna, quella della legalità quando funziona.