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Ultime notizie sulla morte di Liliana Resinovich

Giallo Liliana Resinovich, trovato Dna maschile: perché può essere la firma dell’assassino

Forse il giallo sulla morte di Liliana Resinovich è vicino ad una svolta. Stando ad alcune indiscrezioni, ancora da confermare, sarebbe stato isolato un Dna maschile sul cordino che teneva unite le due buste al collo della donna. È la firma dell’assassino? Ne ho scritto per Fanpage.it.
A cura di Anna Vagli
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La tanto attesa svolta circa la morta di Liliana Resinovich sarebbe molto vicina. Se da un lato il Procuratore ieri ha parlato di progressi verso la verità invitando ancora al silenzio, dall’altro inizierebbero a trapelare le prime indiscrezioni sugli esiti scientifici. A darne conto ieri sarebbe stata la trasmissione La Vita in diretta su Rai 1 che ha parlato del rinvenimento di un Dna maschile sul cordino che stringeva le buste intorno al capo di Liliana Resinovich.  Quel profilo genetico potrebbe essere la firma dell’assassino? Ci tengo a ribadire che, allo stato, il fascicolo resta ancora aperto per sequestro di persona a carico di ignoti. E quindi, al momento, ancora non c'è nessun indagato.

Ogni contatto lascia una traccia

Ne avevamo già fatto cenno nel sottolineare l’importanza delle analisi scientifiche. Di che cosa? Del Principio di Locard, un faro nella notte per i criminalisti. Esso può essere riassunto con la massima: “Ogni contatto lascia una traccia”. In termini più tecnici, se una persona entra in contatto con un’altra o con un oggetto si verifica uno scambio: lascerà qualcosa e porterà su di sé qualcosa di quel contatto. Dunque, sulla scorta di quanto appena affermato, chi ha toccato quel cordino ha visto viva per l’ultima volta Liliana Resinovich. Un assassino commette mediamente venti errori e si rende conto soltanto della metà. La maggior parte di questi è dovuta ad imprudenza ed imperizia. Nel caso di specie, l’errore più grave che l’assassino potrebbe aver commesso, se di omicidio si è trattato, potrebbe essere stato quello di non indossare i guanti.

Di chi è il Dna?

Entriamo ancora più nel dettaglio. Il fatto che, stando alle indiscrezioni, abbiano isolato un Dna maschile sul cordino, significa che è stato identificato un cromosoma Y ben preciso e di una portata tale da consentire un’attività comparatistica in laboratorio. È bene precisare, ai fini dell’indagine, che il cromosoma Y – oltre a identificare il sesso maschile ed essere ereditato di padre in figlio – è presente in tutte le cellule dell’organismo, non solo in quelle degli organi sessuali. Per questo consente di tracciare anche la storia genetica di un individuo.

Dunque, non una firma, ma la firma della persona che – con tutte le cautele del caso ed in attese di conferme – si è interfacciata con Liliana poco prima che perdesse la vita. Difatti, la collocazione di un quantitativo genetico di quella portata sul cordino che fissava i sacchetti al collo consentirebbe di escludere che si tratti di materiale da contaminazione. Nonostante i primi risultati parziali usciti avevano parlato di difficoltà dell’analisi a causa dell’intervento degli agenti atmosferici, le odierne tecniche di esame ed i relativi kit di laboratorio hanno sviluppato una sensibilità tale da riuscire a ricavare un profilo genetico utilizzabile ai fini forensi.

Il Dna di ciascuno di noi è unico al mondo ed irripetibile, eccezion fatta per i gemelli monozigoti, e rimane costante nell’arco della vita e quindi permette sempre un inequivocabile riconoscimento della persona.

Dunque, il prossimo passo degli inquirenti sarà sicuramente quello di comparare quella profilazione con i due uomini che gravitavano nella vita di Liliana: Sebastiano e Claudio, “Dna match”. E poi a seguire.

Liliana è sempre stata in quel boschetto?

Allo stato attuale, con gli spiragli che si prospettano e sulla scorta delle descrizioni della zona, si potrebbe ipotizzare che, effettivamente, Liliana non sia stata uccisa  in quel boschetto. Al contrario, è prospettabile l’ipotesi per la quale potrebbe esserci stata trasferita in un secondo momento. Quella zona è infatti molto frequentata e vicinissima ad un polo universitario. Così argomentando è possibile sostenere che il corpo sia stato abbandonato lì poco prima del ritrovamento – e questo spiegherebbe perché per così tanto tempo nessuno lo avesse visto – e in un orario notturno. Considerazioni queste ultime che tenderebbero altresì ancora ad escludere l’ipotesi suicidiaria in orario, le nove del mattino, in cui quella zona era particolarmente frequentata. Qualcuno avrebbe visto qualcosa. Liliana la mattina del 14 dicembre è stata vittima di una trappola?

Ieri abbiamo visto insieme i punti oscuri del comportamento di Sebastiano privilegiando la sincerità di Claudio. Che, almeno allo stato, ha tenuto ambigui comportamenti solamente in due circostanze: l’indicazione del luogo, poi riscontrato, dove poteva trovarsi il cadavere di Liliana e il colore nero dei sacchetti. Un sillogismo? La parola alla scienza.

L’autopsia psicologica

Resta ancora in piedi, almeno ufficialmente, la pista del suicidio. Avevamo già disquisito in ordine all’autopsia psicologica, tecnica forense utilizzata per risolvere i casi di morte equivoca. L'autopsia in parola consente di effettuare una ricostruzione biografica della vittima attraverso la testimonianze di parenti, amici e di tutti coloro che hanno gravitato nella sua vita nei sei mesi antecedenti al decesso.  Di conseguenza, è strumentale non solo per la ricostruzione del profilo psicologico della persona che ha perso la vita, ma consente di stabilire se le relative componenti caratteriali abbiano avuto un qualche ruolo nella sua morte. Liliana avrebbe mai potuto togliersi la vita? Ad oggi tutte le persone vicine a Liliana lo escludono.

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