Giada Zanola, i messaggi di Favero per costruirsi un alibi e il racconto sul figlio: “Lasciato solo a casa”
"Alle 7.30 ricordo di essermi svegliato e di essermi accorto che Giada non c'era tanto è vero che le ho mandato un messaggio chiedendole se fosse già andata al lavoro e dicendole che non ci aveva nemmeno salutato come era solita fare". Così, si legge nelle carte che hanno portato al fermo di Andrea Favero dopo l’omicidio della compagna Giada Zanola, il camionista 38enne avrebbe tentato di costruirsi un alibi dopo aver spinto giù dal cavalcavia di Vigonza in A4 la giovane donna, mamma 33enne del loro bambino.
I messaggi dopo la morte di Giada
Avrebbe inviato dei messaggi quando sapeva benissimo quanto accaduto la notte del 29 maggio. Il pm di Padova Giorgio Falcone dà atto che il messaggio è presente (ore 7.38) nella chat presente nel telefono dell'indagato. "Sei andata al lavoro?? Non ci hai nemmeno salutato!!", scrive Favero. Per il sostituto procuratore "appare evidente che i contatti telefonici e i messaggi presenti sul suo cellulare rappresentino una messa in scena".
L’uomo ha poi reso parziali ammissioni durante l’interrogatorio e alla luce delle indagini svolte è arrivato il provvedimento di fermo di indiziato di delitto. Giada Zanola, mamma di un bimbo di 3 anni, la notte del 29 maggio è stata scaraventata oltre la recinzione del viadotto e ha fatto un volo di 15 metri. Un camion non ha potuto evitarla. Inizialmente si è pensato a un suicidio, ma ben presto è apparsa evidente un’altra terribile storia.
Che fosse l'epilogo di un femminicidio gli investigatori della Polizia di Padova lo hanno capito quando si sono trovati di fronte Andrea Favero e le sue continue contraddizioni. Lui e la vittima, è emerso tra le altre cose, avevano anche annullato un matrimonio già organizzato.
Favero appunto aveva tentato di precostituirsi un alibi – si legge nel provvedimento di fermo – inviando messaggi sul telefono di Giada il giorno dopo l’omicidio. Ai poliziotti aveva spiegato che la sera prima, con il figlioletto, era andato "tranquillamente a dormire".
Aveva parlato di una serata tranquilla in casa, durante la quale era stato anche consumato un rapporto sessuale con la vittima, dopo il quale si era addormentato e si era svegliato alle 7,30, scoprendo che Giada non c’era. Non aveva inizialmente parlato di alcun litigio tra i due. Al fine di lasciare traccia di tale messa in scena l’indagato effettuava anche una chiamata al cellulare della vittima, oltre al messaggio.
La versione di Favero
Solo dopo, in sede di interrogatorio, Favero ha parlato del litigio affermando che la donna "si è allontanata a piedi verso il cavalcavia che passa sopra l’autostrada che dista circa un chilometro da casa nostra". Quindi, la sua versione, lui avrebbe preso l’auto per raggiungerla "facendola salire per portarla a casa". Poi la lite sarebbe andata avanti, tanto che lui ammette di essere tornato a casa da solo e di non ricordare altro.
"Solo solo che ho pensato subito a R. (il figlio di 3 anni) e al fatto che lo avevamo lasciato a casa da solo, cosa che non era mai successa, per cui sono tornato immediatamente a casa". E ancora: “In quel momento io avevo solo mio figlio della testa e non ricordo di avere mai pensato a cosa fosse successo a Giada. Mi sono addormentato quasi subito. Non ricordo che Giada sia caduta dal parapetto, ricordo solo che mi continuava a offendere e ricattarmi dicendo che mi avrebbe portato via mio figlio".
Ora saranno gli inquirenti, e soprattutto l’autopsia sul corpo della vittima, a dover ricostruire come è stata uccisa Giada Zanola. Come è possibile che l’uomo, se non dopo averla stordita, sia riuscito a sollevarla e farla cadere dal cavalcavia.