Giacomo, tetraplegico per un bagno nel fiume: “Salvo grazie all’amore e alla musica”
La vita di ogni persona è puntellata da alcuni eventi che fungono da veri e propri spartiacque, segnando in maniera irreversibile un "prima" e un "dopo". Quella di Giacomo Ballan, 24 anni, studente di Psicologia presso lo Iusve di Mestre, è cambiata per sempre il 22 agosto 2020. È estate – la prima da quando è esplosa la pandemia da Covid-19 – e Giacomo decide con alcuni amici di andarsi a rinfrescare al fiume Meduna, nella località di Cordenons, non lontano da Pordenone. Il fiume, per Giacomo e i suoi amici, è un elemento familiare: lo conoscono bene, ci saranno andati decine di volte prima di questa. Fa particolarmente caldo oggi e Giacomo è il primo a cedere alla tentazione di un bagno rinfrescante. Nessun tuffo, nessuna strana evoluzione a giustificare quello che succederà di qui a poco. Fatto sta che immerge lentamente il suo corpo nell'acqua. Poi, d'un tratto, il buio. Questo è precisamente l'attimo in cui, nella vita di Giacomo, tutto cambia per sempre.
L'incidente e la diagnosi: tetraplegia completa
Gianna Cazzaro, la mamma di Giacomo, ci apre le porte della sua casa a Castelfranco Veneto, in un quartiere tranquillo e residenziale, con basse case a schiera e un unico bar di zona. Ci scorta fino a un'ampia veranda dove Giacomo sorseggia un the freddo dalla cannuccia. Il 24enne si mostra da subito disponibile a rispondere a qualsiasi domanda circa la sua storia e lo fa senza minimizzare ma senza nemmeno cedere al vittimismo. In altre parole, racconta un'esperienza dolorosa senza usare toni enfatici. "Non ho mai saputo cosa sia successo nei tre minuti in cui, privo di conoscenza, sono stato trasportato dalle correnti sul fondo del fiume. È probabile che abbia sbattuto la testa, o comunque che ci sia stato un urto, per quanto i medici non abbiano mai riscontrato grosse contusioni. Fatto sta che al mio risveglio ero completamente paralizzato e una settimana dopo la diagnosi è stata di tetraplegia completa, livello C3-C5".
"Quando abbiamo visto Giacomo riaffiorare dall'acqua dopo essersi immerso, abbiamo notato che non si muoveva, ma pensavamo si stesse semplicemente rilassando", racconta Mattia Bonato, 22 anni, videomaker, grafico, tra i più cari amici di Giacomo. "Poi è stato risucchiato dall'acqua e abbiamo capito quello che era successo. Come prima cosa abbiamo chiamato i soccorsi, poi ci siamo messi a cercarlo lungo il fiume, io lo percorrevo dall'alto mentre altri tre o quattro ragazzi lo cercavano in acqua. Lo hanno trovato loro diversi metri a valle privo di conoscenza e sono riusciti a trascinarlo a riva".
Quasi un anno in ospedale in piena pandemia
Da quel momento inizia un'odissea per Giacomo e per tutta la sua famiglia che dura undici mesi, tra ospedali e centri di riabilitazione, nel pieno della pandemia da Covid-19. "I momenti di isolamento, quando tutto quello che potevo fare era fissare il soffitto consapevole della mia situazione, sono stati i più duri. In quei giorni ho pensato che essere vivo fosse una beffa, una maledizione".
L'unico sollievo che Giacomo provava in quei giorni, in cui non poteva nemmeno parlare perché tracheotomizzato, era dato da un farmaco anestetico che gli induceva uno stato di sonno profondo e senza sogni. "Ho sviluppato una vera e propria dipendenza verso quel farmaco", racconta con un velo di ironia. È così Giacomo: riesce a trattare in maniera leggera anche gli argomenti più pesanti. "È stata mia madre che, anche a costo di entrare in aperto conflitto con me, mi ha impedito di continuare ad assumerlo, passando intere notti al mio fianco in ospedale e dovendo andare a lavorare la mattina alle 8". "Senza mia madre non sarei qui, mi ha dato la vita due volte".
Gli amici: i quotidiani gesti di vicinanza
Undici mesi in ospedale senza vedere nessuno a parte gli stretti familiari non hanno scoraggiato gli amici di Giacomo, che si appostavano fuori dalla struttura sanitaria anche solo per mandargli una foto in cui gli mostravano di essere vicino a lui. Mattia, sempre al fianco del suo amico, lo portava virtualmente con sé ad eventi e concerti, spronando Giacomo a ricordarsi della vita che lo aspettava fuori dalle mura ospedaliere. "Tutto il periodo della quarantena è stato uno show quotidiano per Giacomo. Organizzavamo videochiamate dalle nostre case con lui, e anche quando non poteva parlare cercavamo il modo di intrattenerlo come potevamo".
La musica: "Un pozzo senza fondo"
"Uno dei momenti più difficili è stato quando ho creduto di aver perso anche la facoltà di parlare", racconta Giacomo. "I medici mi avevano detto che molto probabilmente le mie corde vocali non avrebbero più funzionato, che anche una volta tornato a casa avrei dovuto usare un respiratore domiciliare. Ho detto a mia madre che se avessi perso anche la voce, avrei voluto farla finita".
Tornare a parlare è stata una delle emozioni più grandi nella vita del ventiquattrenne. "Mi era stato tolto praticamente tutto, ma qualcosa era rimasto: la mia voce, la capacità di esprimermi". Giacomo ha sempre coltivato una passione per la musica, scrivendo e cantando, ma prima dell'incidente non aveva mai pensato di pubblicare qualcosa di suo. L'esperienza in ospedale e la perdita completa della mobilità, gli hanno però dato una maggiore e piena consapevolezza del suo potenziale artistico. Grazie alle cure, alla musica e all'amore dei suoi cari, Giacomo ha ritrovato il sorriso e la voglia di vivere: "Ma è una scelta che va rinnovata ogni giorno, non esiste una risposta che ti dai una volta e vale per sempre. È un processo costante". "Questa è a tutti gli effetti una nuova vita, una vita in cui non posso più fare un sacco di cose che prima davo per scontate. Il limite è reale e non starò a raccontarvi che non esiste. Esiste, e me lo ricordo ogni mattina quando mi sveglio. Eppure questo incidente mi ha fatto scoprire parti di me che prima non conoscevo, risorse che non sapevo di avere".
"Non mi riconosco in nessun genere musicale in particolare e apprezzo generi diversissimi, dalla classica al rap alla trap. La musica per me, oltre a una vera e propria terapia, è anche libertà". Insieme a Mattia (che cura l'aspetto video e grafico) e ad altri amici, Giacomo passa diverse ore alla settimana in studio di registrazione, incidendo pezzi scritti in ospedale o successivamente, coltivando una passione che letteralmente gli ha salvato la vita. "Se diventerà qualcosa di più di una semplice passione? Non lo so, quello che so per certo però è che ho intenzione di giocarmi tutte le carte che ho disposizione al tavolo della vita. Non ho paura di perdere, ma di non scommettere".