«In questo momento provo un po' di vergogna ad essere italiana» dice Daniela Santanchè, ancora scossa e sdegnata per la condanna in Cassazione del suo capo Silvio Berlusconi. Gentile signora, coloro i quali si dovrebbero vergognare – e in effetti lo fanno – siamo noi. Vergognarci per come abbiamo reso possibile questa situazione, per come abbiamo mantenuto in piedi questa classe politica, per come ci siamo fatti infinocchiare e cuocere a fuoco lento e inesorabile come si fa con un'aragosta. Abbiamo bruciato anni ad ascoltare la politica italiana che si divideva tra innocentisti e colpevolisti, tra fedelissimi e acerrimi nemici del Cavaliere. Prima eravamo fessi, ora siamo anestetizzati. E dovremmo pure caricarci sulle nostre spalle il peso della vergogna di nostra signora Pitonessa? La prego, signora Santanché, si tenga il suo sdegno, al massimo lo porti a spasso così come si porta un barboncino a pisciare. Ma eviti queste sparate, uno potrebbe pure risponderle male (come in effetti sto facendo io). Ringrazi semmai l'Italia sonnecchiante degli ultimi decenni, incapace di incazzarsi seriamente con chi passa il suo tempo da deputato a difendere l'indifendibile anziché a lavorare per raddrizzare questo malandato, addormentato Paese.