Il 13 luglio la Corte di Cassazione si pronuncerà sugli "ultimi dieci manifestanti" ancora sotto processo per i "fatti di Genova". Su di loro pendono accuse di una certa gravità, devastazione e saccheggio in particolare, con condanne confermate in appello per circa 100 anni di carcere complessivi. Una sentenza che chiuderà il cerchio su una pagina comunque vada controversa della storia recente, dopo la conferma della colpevolezza per agenti e funzionari in merito alle violenze della scuola Diaz. Nelle scorse settimane è partita anche la mobilitazione in favore dei manifestanti sotto processo, con un appello lanciato sul sito 10X100 e sottoscritto tra gli altri da Wu Ming, Moni Ovadia, Erri De Luca, Subsonica, Valerio Mastrandrea, Elio Germano e altre migliaia di persone. La tesi è quella già nota e ribadita anche dalla difesa:
"Devastazione e saccheggio"» è un reato ereditato dal codice penale fascista, il famigerato Codice Rocco, per reprimere eventuali sommosse popolari. E che punisce anche per la «compartecipazione psichica». Il buon senso di qualsiasi cittadino «sinceramente democratico», o anche solo con un vago senso di giustizia, intuisce la sproporzione tra queste condanne e l’impunità sostanziale di cui hanno goduto i vertici e la base delle forze dell’ordine"
Un modo per mantenere ancora desta l'attenzione su quei giorni, su quello "straordinario fallimento", mentre ancora non si placano gli echi di una sentenza che in ogni caso ha fatto discutere non poco (tra chi, come chi scrive, l'ha giudicata una "vittoria per ogni cittadino" e chi, come il regista di "Diaz", Daniele Vicari, parla di un'occasione mancata, di una giustizia parziale).
E c'è nell'attesa di questa sentenza quasi un doppio binario. Ci sono le esistenze individuali, dieci persone provate da un processo lunghissimo, indecente nella durata e sfibrante nelle considerazioni specifiche, un confronto continuo con una pagina di storia e con il ricordo di un'esperienza che ha cambiato radicalmente la loro vita. E c'è un ambiente, anzi, ciò che resta di un movimento che (forse) ha fallito, malgrado sia possibile scrivere vagonate di pagine, chilometri di frasi e milioni di scusanti, attenuanti. Un ambiente che ancora vive (legittimamente, per carità) in trincea, che non ha abbandonato l'idea che Genova sia stata una frattura, un punto di non ritorno. Quello dell'ancora "non siamo tornati a casa", di chi, pensando al 13 luglio grida: "Liberate gli ultimi ostaggi”.