Generale Bertolini a Fanpage.it: “No a invio nuove armi, serve negoziato, Ucraina non può vincere”
"No all'invio di nuove armi all'Ucraina. Stiamo trasformando la guerra in un Afghanistan europeo". Alla vigilia del voto del Parlamento sull'invio a Kiev di materiale bellico il generale Marco Bertolini, intervistato da Fanpage.it, lancia l'allarme sul rischio di un prolungamento del conflitto e invita l'Italia a svolgere il suo "ruolo storico", quello di mediatrice tra le parti. Per finire lancia un allarme: che armi leggere, ma anche pesanti, possano fuoriuscire dall'Ucraina ed essere impiegate contro obiettivi altamente sensibili. "Pensi a cosa accadrebbe se un uomo, uno solo, imbracciasse uno stinger donato dall'Occidente, si avvicinasse a un aeroporto e minacciasse di fare fuoco verso un aereo in decollo o atterraggio".
Domani il Parlamento si esprimerà su un nuovo invio di armi all’Ucraina. Lei cosa voterebbe?
Voterei di non inviare armi. Facendolo infatti alimenteremmo una guerra che sta diventando un Afghanistan europeo e che causerà povertà al nostro continente e in particolare all'Italia. Bisogna, invece, che l'Europa – e il nostro Paese in particolare – esercitino tutto il loro "soft power" per portare i contendenti al negoziato. Questo non è possibile se si continua ad illudere Kiev che avrà tutto il nostro appoggio di qui in avanti, senza se e senza ma. Vorrei essere chiaro: l'Ucraina non è in condizione di vincere questa guerra se non grazie all'intervento diretto della NATO, circostanza che renderebbe imprevedibile l'esito del conflitto.
A proposito. Oggi il Regno Unito ha detto di essere pronto a combattere in Europa. È una novità…
No, non lo è affatto. Che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna spingano per una guerra aperta è un dato di fatto da quasi quattro mesi. Per ora quella guerra la stiamo facendo fare agli ucraini, forse allo scopo di indebolire la Russia per poi, successivamente, intervenire in modo diretto. C'è un partito della guerra a ogni costo, quel partito è composto dagli estremisti occidentali americani e britannici. Ci sono poi gli occidentali "moderati", ovvero Francia, Germania e Turchia che frenano e vogliono salvaguardare i loro interessi. E poi ci sono quelli che eseguono gli ordini altrui.
Parla anche dell'Italia?
Beh, non si capisce bene cosa voglia fare l'Italia. A parole siamo interventisti, nei fatti gli aiuti militari che abbiamo fornito sono stati scarsi. D'altronde è giusto così, visto e considerato che il nostro arsenale è molto povero da decenni. Stiamo creando le condizioni per un Afghanistan europeo, per adesso con sangue ucraino e russo. Andando avanti chissà cosa potrebbe accadere…
Cos'è il "soft power" che l'Italia dovrebbe esercitare nei confronti di Russia e Ucraina?
L'Italia aveva in passato capacità di fascinazione in tutto il mondo grazie a una classe politica colta e attenta, animata per lo più dai valori del cattolicesimo, che le consentiva di farsi sentire ovunque nonostante non fosse una grande potenza militare. Nelle missioni di pace a cui abbiamo preso parte i nostri soldati hanno sempre ottenuto risultati importanti con un uso minimo della forza, a differenza di altri. Questo accadeva perché con gli italiani era possibile dialogare da parte di tutti. Ora il nostro Paese sembra aver rinunciato a questo suo ruolo storico: siamo diventati una delle tante voci dello stesso coro bellicista.
Nella sua carriera di generale ha assistito a mediazioni italiane tra parti in conflitto?
Altroché. Le potrei parlare della Somalia: eravamo in una situazione molto delicata, c'erano due entità che si combattevano – gli Abgal e Habr Ghedir. In più di un'occasione ho assistito a scontri cruenti risolti con battute in napoletano da parte di uno dei nostri ufficiali. A quelle frasi i somali rispondevano in italiano, lingua che conoscevano molto bene. Ma le potrei parlare dello stesso Afghanistan: gli italiani hanno operato in un territorio molto difficile, in più di un'occasione hanno dovuto ricorrere alle armi, eppure la nostra era una zona relativamente tranquilla perché riuscivamo spesso a far dialogare le parti.
E perché non sarebbe possibile un'operazione di peacekeeping anche in Ucraina?
Impossibile. La premessa affinché possa condursi un'operazione di questo tipo sarebbe che i belligeranti raggiungessero almeno una tregua chiedendo poi a delle truppe neutrali di vigilare affinché il cessate il fuoco venga rispettato. Non credo che ora come ora ci sia la possibilità di un accordo tra Russia e Ucraina, ma anche se dovesse accadere come potremmo svolgere quel ruolo di controllo avendo armato per mesi le forze armate di Kiev? Non sarebbe possibile per l'Europa svolgere nessun ruolo super partes.
Eppure Zelensky lamenta lo scarso invio di armi da parte dell'Occidente. Stiamo "abbandonando" l'Ucraina?
L'Europa è giustamente molto preoccupata. Come accaduto in Libia e Afghanistan quelle armi non rimarranno confinate in Ucraina.
Crede anche lei, come il capo dell'Interpol, che finiranno in mano a gruppi criminali?
Quelle armi vengono consegnate ai combattenti senza alcun controllo. Molte vengono disseminate sul territorio insieme a morti, feriti, disertori e prigionieri. In quali mani finiscono, successivamente? Quegli armamenti avranno facilità a circolare anche fuori dall'Ucraina: non mi riferisco solo a pistole, fucili e mitragliatori, ma anche ai jevelin anticarro o agli stinger dell'antiaerea, sistemi che conferiscono ai possessori un potere di ricatto enorme. Pensi a cosa accadrebbe se un uomo, uno solo, imbracciasse uno stinger, si avvicinasse a un aeroporto e minacciasse di fare fuoco verso un aereo in decollo o atterraggio. Oltre a ciò c'è il problema dei combattenti.
Cosa intende?
Ci sono migliaia di persone che hanno combattuto nelle formazioni regolari o come mercenari in Ucraina. Prima o poi dovranno tornare alla vita "civile", ma avranno nel frattempo maturato competenze e abitudini molto pericolose. Credo che le nostre forze di polizia dovrebbero aumentare sensibilmente i controlli. Armi e combattenti saranno in futuro saranno un serio problema per l'Europa.