Le immagini che ci provengono dalle guerre che si stanno combattendo in questi anni Venti definiscono la nostra stessa percezione dei conflitti in corso. La violenza e le sue conseguenze vengono mostrati a scopo di propaganda o per giustificare le azioni della propria parte. L'esibizione della violenza, dei cadaveri dei nemici o dei civili inermi, compaiono nelle nostre vite con significati non univoci. Un corpo dilaniato non è un solo un corpo dilaniato e senza vita.
Facciamo alcuni esempi. Ci sono diversi siti – uno dei quali "ufficiale" – che mostrano i corpi mutilati, carbonizzati e straziati delle vittime israeliane dell'attacco di Hamas del 7 ottobre in Israele. Questa esibizione organizzata per i luoghi dove sono avvenute le violenze o per la tipologia delle vittime, serve a dimostrare la brutalità del massacro al mondo, contro tutti quelli che le negano, ma anche come giustificazione di tutto quello è venuto dopo. Dalla Striscia di Gaza in questi mesi abbiamo arrivare immagini e filmati dei cadaveri allineati negli ospedali ormai distrutti, dei bambini decapitati dalle bombe, i corpi senza vita estratti dalle macerie, le famiglie in lutto piangere portando in braccio i loro cari. Video e foto che hanno mostrato fin da subito quanto stava avvenendo nelle Striscia e il prezzo pagato dai civili. A queste immagini fanno da contraltare quotidiano i video degli influencer israeliani che negano tutto questo, le parodie delle donne palestinesi che piangono (è "Pallywood", ovvero la teoria del complotto per la quale le sofferenze palestinesi sarebbero per lo più una messa in scena) e i soldati dell'Idf che saccheggiano le abitazioni palestinesi esibendo indumenti intimi, o fanno saltare in aria case e moschee dandosi il cinque.
Se la violenza esibita nella sua forma più brutale contro i civili è una parte del repertorio di contenuti che provengono dalle zone dei conflitti, altrettanto importanti sono quelli che certificano le azioni di guerra in cui il nemico viene "neutralizzato" con successo. Chi ha seguito dai primi atti l'invasione totale della Russia in Ucraina, sa come fin da subiti si sono moltiplicati i canali Telegram che mostravano il nemico ucciso in combattimento. Un colpo di un cecchino andato a segno, il video di un drone che sgancia la sua bomba e dei corpi che rimangono a terra quando il fumo si dirada. E poi le immagini dei combattimenti girati in prima persona come un videogioco sparatutto in una trincea, e i corpi senza vita dei nemici con i passaporti in mano a mostrarne le generalità. Una forma di comunicazione di guerra rivolta all'interno ("guardate stiamo facendo il culo ai nemici!"), ma anche rivolta all'avversario ("guardate come vi ammazziamo!" o "guardate come muoiono i vostri figli, fateli rimanere a casa!").
Forse perché completamente saturi di questa violenza ormai barocca, in cui per colpire la nostra attenzione non bastano più uno o due corpi senza vita, serve una fossa comune, non più un uomo ferito ma uno senza testa, e così via per quanto siamo anestetizzati, che colpiscono le immagini che arrivano da Israele sul paesaggio del dopo guerra nella Striscia di Gaza. Render patinati di villette fronte mare, grattacieli, distese di campi coltivati e irrigati, pannelli solari e un fiorente commercio marittimo.
Sulla rivista israeliana The Architect’s Newspaper, sono uscite delle immagini su come potrebbe essere Gaza nel 2035, basate sul documento "Gaza-Arish-Sderot Free Trade Zone", prodotto dal gabinetto del primo ministro Benjamin Netanyahu. C'è lo skyline di numerosi grattacieli, stile Singapore o Abu Dhabi, una ferrovia avveniristica, i moli per le navi porta container, i pannelli solari e molto verde. La ferrovia che si vede dovrebbe secondo i piani collegare Gaza a Neom, la città che l'Arabia Saudita vuole costruire nel deserto.
Come se non ci fosse nulla oggi lì, come se non fosse l'area più densamente popolata del pianeta, Israele immagina di costruire la nuova Gaza dal nulla, proprio come la città voluta dallo sceicco da Mohammed Bin Salman. Una zona chiave per il commercio tra il Mediterraneo e la penisola Araba, dove attrarre capitali per mezzo di tariffe doganali e d'investimento favorevoli, un corridoio tra Israele e i vicini arabi con cui normalizzare i rapporti in nome del profitto.
Qualche tempo fa aveva fatto discutere il depliant di un'agenzia immobiliare israeliana che proponeva delle villette fronte mare a Gaza. In questo caso l'effetto era ancora più straniante: le unità abitative di lusso comparivano infatti in mezzo ai palazzi in macerie. D'altronde Jared Kushner, genero di Donald Trump di cui è stato consulente per la politica estera e per il Medio Oriente in particolare, recentemente ha fatto notare le potenzialità di Gaza dal punto di vista immobiliare. Con il suo occhio da imprenditore del settore ha spiegato che le “proprietà sul lungomare” sono molto promettenti e per questo Israele deve "allontanare i civili" per sfruttarle al meglio, magari trasferendo tutti i palestinesi nel deserto del Negev.
Le immagini sul futuro di Gaza che ci arrivano da Israele hanno tutte un comune denominatore: disegnano edifici, strade, villette, ferrovie edificate su un territorio vergine. Ora visto che evidentemente non è così, questo ci dovrebbe interrogare su quanto sta accadendo. È oggettivamente il paesaggio edificato dopo un genocidio.
Intanto sembra che la destra israeliana, tra millenarismo biblico e volontà di annientamento del nemico, ha le idee chiare su Gaza, anche se gran parte dei governi occidentali fanno finta di non capire. Ha destato in Italia un certo interesse l'intervista di Francesca Mannocchi per La7 a Daniella Weiss, leader e fondatrice dell'associazione di coloni Nachala, che dice chiaro e tondo che tutti i palestinesi devono essere espulsi e Gaza colonizzata, e che è stato un errore la ritirata dagli insediamenti. Mentre i leader occidentali mettono linee rosse che vengono costantemente superate, i coloni e la destra israeliana "fanno". Costruiscono colonie illegali, spingono per la guerra totale e di annientamento, rifiutano ogni piano per il futuro di Gaza (ma anche della Cisgiordania in definitiva) che preveda una presenza di palestinesi con una cittadinanza piena e pienezza di diritti.
Questo è anche lo spirito con cui combattono oggi nella striscia molti soldati dell'Idf. Il giornalista palestinese Younis Tirawi monitora dall'inizio della guerra i profili social di migliaia di soldati israeliani, catalogando e raccogliendo i crimini che loro stessi pubblicano sui social e le idee che esprimono. Ecco cosa scrive per esempio un comandante di battaglione: "Col passare del tempo… La città di Gaza, con tutti i suoi abitanti, deve essere distrutta. Chiunque voglia fuggire e salvare la propria miserabile vita dovrebbe fuggire in Egitto. Ma la città di Gaza, con tutti i suoi edifici, deve essere cancellata dall'esistenza . Una città di Sodoma che non ha diritto di esistere”. Così invece un capitano dell'esercito: "Gaza non può più essere la discarica dei terroristi. Ora comprendiamo che questa discarica deve essere ripulita per creare un nuovo parco di vita per i residenti di Israele. La spazzatura terroristica deve essere buttata fuori dalle aree della terra promessa, e dovremmo ritornare per trasformare Gaza in una delle terre d'Israele bellissime città costiere attraverso l'insediamento ebraico.".
Non fare distinzione tra civili e combattenti, alla luce di queste parole assume più senso: serve spazio per costruire la nuova Gaza.