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Covid 19

Galli sull’antivirale Paxlovid: “Arma in più contro il Covid ma inutile nei casi già gravi”

Massimo Galli, già primario di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, ha spiegato perché l’antivirale Paxlovid di Pfizer è un’arma in più contro il Covid ma non sempre utile: “Non funziona dopo un certo numero di giorni dalla comparsa del sintomo o dal riscontro dell’infezione, perché arriverebbe troppo tardi”.
A cura di Ida Artiaco
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Il nuovo antivirale Paxlovid di Pfizer è sicuramente un'arma in più nella lotta contro il Covid ma "è inutile nei casi già gravi, dal momento che deve essere somministrato nei primi giorni di manifestazione dei sintomi per prevenire l'evoluzione negativa del processo infettivo". A spiegarlo è stato Massimo Galli, già primario del reparto di malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano, intervenendo questo pomeriggio a Skytg24.

L'esperto ha così commentato l'arrivo delle pillole Paxlovid in Italia: "È un'ottima cosa avere questo strumento, è un'arma in più contro il Covid, ma utile a prevenire l'evoluzione negativa del processo infettivo. Ciò significa che non è più utile dopo un certo numero di giorni dalla comparsa del sintomo o dal riscontro dell'infezione. Questo perché arriverebbe troppo tardi, quando cioè il virus si è già replicato ed è andato a finire nei polmoni. A quel punto Paxlovid, così come gli anticorpi monoclonali, non ha più funzione". Il nuovo antivirale, già somministrato con successo allo Spallanzani di Roma, è una "delle varie disponibilità che riguardano le persone con fattori di rischio per evoluzione della malattia, come anziani, soggetti affetti da diabete e obesi, ma sempre nell'arco dei primi 7 giorni di infezione, oltre non servono. Questo è un trattamento tempestivo che evita l'evoluzione negativa della malattia e che va prescritto con accuratezza perché ha una marea di interazioni con altri farmaci, cosa che va gestita anche se la durata della terapia è breve".

Sull'evoluzione della pandemia di Covid-19 in Italia, Galli si è detto invece ottimista: "Dopo la stangata di Omicron che ha fatto salire vertiginosamente i nuovi casi – ha sottolineato – abbiamo ora un rallentamento vero perché contestualmente abbiamo avuto una riduzione della pressione sugli ospedali. Ma tra questo e mettersi a fare delle valutazioni di storia finita ce ne passa. Questo virus ci ha abituato a farci fare esperienza di nuove varianti, ne abbiamo avute tre in un anno, ed è un problema. Certo, è meno cogente perché ci sono molti più vaccinati e guariti. Ma in un mondo ancora in larga misura non vaccinato io non mi sentirei di dire che il virus non esiste più. È una canzone già sentita. Dobbiamo imparare la lezione, a gestire la situazione e a conviverci senza un approccio eccessivamente prudenziale".

Sulla decisione di eliminare l'obbligo delle mascherine all'aperto a partire dall'11 febbraio, Galli ha affermato che vorrebbe che si riuscisse a fare una rivoluzione culturale. "Chi identifica nelle mascherine un obiettivo politico come se fossero un feticcio si sbaglia – ha concluso -. È uno strumento di protezione, né più né meno del casco in moto. La mascherina resterà anche in futuro, soprattutto nei mesi invernali. Non ci possiamo più permettere di stare chiusi in casa ma bisogna aiutarci".

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