Funivia Mottarone, così la mattina dell’incidente bloccarono i freni. Pm: “Condotta sconsiderata”
Per i pm di Verbania a capo delle indagini sull'incidente della funivia del Mottarone, i tre indagati devono restare in carcere. La richiesta al giudice per le indagini preliminari da parte del Procuratore Olimpia Bossi e del sostituto Francesca Carrera è la conferma della misura cautelare per il titolare della Ferrovie del Mottarone, Luigi Nerini, il direttore d’esercizio Enrico Perocchio e il capo servizio Gabriele Tadini. Nel racconto del pm viene infatti sottolineato come "nonostante la gravità delle condotte contestate e delle conseguenze che ne sono derivate, i fermati non hanno avuto un atteggiamento resipiscente», non si sono presentati subito ai magistrati per assumersi "le proprie responsabilità".
Pm: Carcere unica misura, non esclusi altri indagati
Il riferimento in particolare è a Perocchio e Nerini che sarebbero giunti sul luogo dell'incidente la mattina di domenica 23 maggio e non si sarebbero presentati spontaneamente ai magistrati nonostante si sia trovati dinanzi ai corpi dilaniati delle vittime. I due devono essere ancora interrogati e per questo i pm premono affinché restino in carcere così da non poter avere contatti e accordarsi sul racconto. Ad oggi le uniche parole sono quelle di Tadini che ha ammesso di aver bloccato con il forchettone il sistema dei freni che avrebbe di fatto evitato l'incidente, così come si legge nel verbale: "Resta indubitabile che, quale che ne sia stata la causa, la rottura del cavo trainante di per sé sola, non avrebbe determinato" l’incidente se i freni avessero potuto funzionare.
La mattina di domenica 23 maggio Tadini ha raccontato di aver aperto la stazione intermedia di Alpino e di aver "avviato l’impianto intorno alle 9-9,10 per una corsa di prova a bassa velocità per verificare il regolare funzionamento". In quel momento lui sa che i forchettoni installati dall'ultima corsa della sera precedente bloccano il sistema di frenaggio, li vede e sa che ancora una volta vi è "qualche anomalia all’impianto frenante": sente un rumore, "un suono caratteristico, riconducibile alla presumibile perdita di pressione del sistema frenante, che si ripeteva ogni 2-3 minuti". A quel punto per evitare il blocco dell'intero sistema decide di lasciare il forchettone inserito. Se in un primo momento Tadini racconta di aver preso lui quell'iniziativa senza informare nessuno, in un secondo momento dell'interrogatorio l'uomo coinvolge anche Nerini e Perocchio ammettendo che i forchettoni non erano rimasti sulla cabina solo quel giorno "ma molte più volte, sostanzialmente in modo pressoché abituale, quanto meno nel corso dell’ultimo mese, da quando l’impianto aveva riaperto al pubblico" dopo la pandemia, ma gli inquirenti sospettano che siano stati messi addirittura ad ottobre.
Sistemi di sicurezza non rispettati per ragioni meramente economiche
Dunque tutti sapevano e ciò nonostante hanno continuato, secondo i pm, perché in caso contrario avrebbero perso i soldi degli incassi già decimati dalla pandemia e inoltre ne avrebbero dovuti spendere di altri per effettuare le costose riparazioni. Anche Perocchio, secondo la Procura "era assolutamente consapevole delle anomalie che il sistema frenante presentava da tempo e dell’inutilità dei lavori effettuati in precedenza", come sapeva che "erano necessari interventi più radicali e che l’unico modo per aggirare gli inconvenienti" era "la manomissione del dispositivo di sicurezza". Secondo i pm i tre, che potrebbero non restare gli unici indagati, hanno mostrato di poter commettere reati "di straordinaria gravità", come riportato da Corsera, a causa della "deliberata volontà di eludere gli indispensabili sistemi frenanti per ragioni meramente economiche e in assoluto spregio delle più basilari regole cautelari di sicurezza"