Fuggiti dalla guerra in Siria, finiti sotto le bombe di Israele: il dramma dei profughi siriani in Libano
Fuggiti dalla guerra in Siria, centinaia di migliaia di profughi che negli ultimi anni avevano raggiunto il Libano sperando di trovare un luogo sicuro rivivono da settimane l’incubo dei bombardamenti a causa dei quotidiani raid israeliani. Molti di quei profughi stanno facendo ritorno nel loro Paese d'origine senza sapere minimamente cosa li attenderà. Troveranno città e villaggi distrutti, povertà estrema e un regime, quello di Assad, ancora saldamente in piedi. Eppure persino queste prospettive sono migliori rispetto al rischio di morire a causa degli attacchi dallo stato ebraico, spesso portati anche su obiettivi civili.
La situazione umanitaria in Siria rimane drammatica; il terremoto del 2023 e il prolungato conflitto hanno devastato le infrastrutture fondamentali e milioni di persone hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. Ciò nonostante quel Paese si sta trasformando nell'unica, e forse ultima speranza per migliaia di persone. Fanpage.it ne ha parlato con Silvia Turati di Mediterranean Hope (MH), il programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) nato nel 2013 con l'obiettivo di sostenere i profughi nel loro diritto a spostarsi, richiedere protezione e autodeterminarsi. Turati coordina il progetto dei corridoi umanitari in Libano (giunto nei giorni scorsi al decimo anno), organizzando le vie sicure e legali di accesso in Italia per persone in condizione di vulnerabilità fuggite dal loro Paese.
Se ne parla sempre molto poco, ma sotto le bombe israeliane ci sono anche centinaia di migliaia di profughi siriani che avevano raggiunto il Libano nella speranza di essere al sicuro. Invece qual è la situazione?
Migliaia di rifugiati siriani di fatto stanno vivendo una seconda guerra dopo quella civile che ha devastato il loro Paese a partire dal 2011. Queste persone vivono una situazione paradossale, come ci raccontano molte famiglie che vivono a Beirut, nella Valle della Beqa' o nel sud del Libano, tutte costrette a scappare dai loro alloggi di fortuna a causa dei bombardamenti israeliani per cercare riparo altrove. Edifici per accogliere i siriani però sono di fatto introvabili, quindi molti sono costretti a vivere per strada, o all'interno di scuole dismesse alla mercé dei raid dello stato ebraico. Tutti i rifugi messi a disposizione dal governo libanese infatti sono riservati esclusivamente ai cittadini libanesi. Restano così fuori non solo i siriani, ma anche le comunità dei lavoratori migranti, provenienti per lo più dal Corno d’Africa e dal Bangladesh, che non hanno alle spalle alcun sistema di protezione sociale. In questo contesto le organizzazioni umanitarie, soprattutto quelle che già da tempo si occupavano della crisi siriana in Libano sotto il cappello di UNHCR, hanno iniziato ad incrementare la risposta umanitaria cercando di aprire nuovi shelter. La risposta tuttavia è ancora largamente insufficiente rispetto ai bisogni della popolazione interessata.
Tra le famiglie siriane seguite da Mediterranean Hope in Libano si sono registrate vittime?
Fortunatamente no, ma riceviamo in continuazione richieste d'aiuto da persone terrorizzate dagli attacchi aerei israeliani. Ricordo ad esempio le chiamate di una donna che viveva in un quartiere a sud di Beirut che ci chiedeva dove avrebbe potuto trovare un riparo sicuro per se e per i suoi figli. Ne aveva già perso uno nella guerra in Siria e temeva di perdere anche gli altri.
Secondo l'UNHCR molti siriani che si erano "riparati" in Libano stanno facendo ritorno in Siria.
Confermo, moltissimi siriani stanno facendo ritorno nel loro Paese d'origine. Si tratta prevalentemente di donne e bambini.
E gli uomini?
Non di rado si tratta di persone che hanno o hanno avuto problemi con il regime di Assad. Se tornassero, rischierebbero probabilmente di essere intercettati dalle autorità, arrestati e fatti sparire nel nulla. È accaduto spesso, purtroppo, negli ultimi anni, che ci raccontassero episodi di questo tipo. Per questa ragione, per quanto si può capire dalle informazioni sommarie che abbiamo, i siriani che stanno tornando nel loro Paese di origine ora sono per lo più persone che erano scappate in Libano diversi anni fa a causa della guerra, dopo aver perso tutto.
In questo contesto, come state operando?
I colleghi siriani e libanesi si stanno occupando delle consegne di aiuti umanitari e medicinali alla popolazione sfollata a Beirut, e portano avanti un progetto medico nella capitale libanese, Medical Hope. Noi italiani invece abbiamo continuato ad organizzare corridoi umanitari, l'ultimo dei quali è arrivato a Fiumicino il 15 ottobre. Per ragioni di sicurezza l'abbiamo dovuto coordinare da Roma e non dal Libano come accade solitamente, riscontrando enormi difficoltà perché il tutto si svolgesse in sicurezza per le famiglia coinvolte. Una nostra famiglia, proprio mentre lasciava il suo alloggio nella zona di Baalbek, nella Beqaa, per recarsi all’aeroporto, è miracolosamente scampata ad un raid israeliano, avvenuto solo pochi minuti dopo il loro passaggio lungo la strada che stavano percorrendo. Solo una volta atterrati a Fiumicino, le tensioni si sono sciolte nei lunghi e intensi abbracci con alcuni parenti precedentemente arrivati in Italia.
Gli appelli per un cessate il fuoco, in Libano come a Gaza, sono caduti sistematicamente nel vuoto. A che punto sono le trattative con il governo italiano affinché vengano effettuati più corridoi umanitari?
L’ultimo protocollo siglato tra Federazione delle chiese evangeliche, Comunità di Sant’Egidio e il governo italiano si è appena concluso e deve essere rinnovato. Stiamo lavorando nella consapevolezza che sempre più profughi siriani, ma anche libanesi e palestinesi, avranno bisogno di giungere in Italia in condizioni legali e di piena sicurezza, senza affrontare i pericoli del Mediterraneo o la rotta balcanica.