Qualcuno la chiama casualità. Altri, più ispirati, parlano di sincronicità, di segno del destino. La morte di Franca Rame, oggi, quando l’Italia discute di violenza sulle donne, di “femminicidio”, di tutela dall’eterna tentazione maschile all’uso del corpo femminile, è una cupa contraddizione. Bellissima, fiera, mai vacua, attrice di valore, militante femminista, Franca Rame ha pagato le sue idee con una violenza inaudita. Verbale, denigratoria, censoria, ma anche fisica. Un gruppo fascista, nel marzo del ‘73, la rapì solo per picchiarla e stuprarla. Per punirla di essere com’era. Il processo arrivò a sentenza dopo 25 anni, con il reato prescritto. Non ha mai avuto giustizia, Franca Rame. Poca solidarietà, in tutti questi anni. La solita Italia di maschi repressi e di femmine complici condannò più lei che le bestie. Immagino il dolore nell’ombra. L’unico modo per ricordarla, oggi, è recuperare le sue battaglie. Cambiare questo Paese a volte così meschino, così piccolo.