Non sappiamo ancora quanto durerà l'emergenza coronavirus. Nella speranza di non vedere l'Esercito a presidiare le nostre strade, mentre il nuovo nemico pubblico numero uno sono i runner, ormai appare chiaro a tutti che il lockdown durerà ancora per settimane. Forse salterà l'anno scolastico e le scuole riapriranno direttamente a settembre. Ormai tutti hanno perso la speranza che, come per incanto, dopo il 3 aprile torneremo alla vita di prima. In molti cominciamo a percepire che non ci sarà nessuna "normalità" a cui tornare. Non conosciamo quanto l'epidemia durerà, ma siamo ormai coscienti che passato il picco ci vorrà del tempo (c'è chi parla addirittura di due anni) perché la vita sociale, produttiva, affettiva possa tornare alla densità a cui siamo stati abituati fino a ieri. Insomma: non ci abbracceremo e non andremo a un concerto ancora per mesi se va bene.
Se la pandemia avrà effetti lunghi nel tempo ci consegnerà un mondo diverso da quello che conoscevamo. Stati e governi, così come la società civile e gli istituti sociali come la scuola, sono chiamati ad operare in un contesto sconosciuto e a prendere provvedimenti inediti. Ci troveremo in un mondo più chiuso di prima, uomini e merci circoleranno meno liberamente di prima con conseguenze tutte da verificare. Un mondo dove la revoca nei fatti delle libertà individuali non sappiamo quanto opererà ancora mettendo a dura prova gli stessi istituti formali delle democrazie liberali. Ancora non ci rendiamo conto della dimensione della crisi economica e sociale che provocherà la pandemia, che se ora sta colpendo soprattutto l'esercito di lavoratori precari, intermittenti a nero, ma che domani arriverà prevedibilmente a colpire il lavoro dipendente.
In modo inaspettato la pandemia provocata dal nuovo virus potrebbe mettere fine a quell'Interregno (per usare una famosa espressione di Gramsci) aperto con la crisi del 2008. Che direzione prenderà il mondo nuovo però è ancora tutto da vedere, e molto dipende da noi. Se ci arrenderemo a tornare a una "normalità" in cui la sanità pubblica viene smantellata e definanziata e in cui la precarietà è diventata la cifra delle nostre esistenze, oppure se ci rifiuteremo di pensare "normale" un mondo dove i profitti vengono prima della salute, dove a muoversi possono essere le merci ma non le persone. Chi pagherà la crisi generata dal Covid-19? Socializzeremo la ricchezza o solo le perdite come accaduto nel 2008?
Il braccio di ferro sulla chiusura delle fabbriche in corso in questi giorni dimostra quanto l'esito del conflitto è tutt'altro che scontato. La giornalista e attivista radicale Naomi Klein, mette in guardia su come il coronavirus può essere l'evento perfetto per applicare una "shock economy", facendo largo a quello che ha definito come il "capitalismo dei disastri": "Questa crisi – come quelle precedenti – potrebbe essere il catalizzatore per inondare gli aiuti sugli interessi più ricchi della società, compresi quelli più responsabili delle nostre attuali vulnerabilità, offrendo quasi nulla alla maggior parte dei lavoratori, spazzando via i piccoli risparmi familiari e chiudendo le piccole imprese".
Molti osservatori in questi giorni insistono invece su come la crisi generata dal coronavirus possa, inaspettatamente, invertire l'egemonia neoliberista impostasi a livello globale negli ultimi quattro decenni. C'è chi, come lo studioso marxista statunitense David Harvey, dà il neoliberismo già per morto, chi descrive la crisi dell'economia di mercato con un ritorno alla pianificazione e all'intervento statale che potrebbe aprire a interventi che ricordano le politiche del new deal.
“Dovesse diffondersi in tutto il mondo l’epidemia, siamo consapevoli che i meccanismi del mercato non sarebbero sufficienti a frenare il caos e la fame? I provvedimenti che oggi alla maggior parte di noi sembrano «comunisti» dovranno essere presi in considerazione su scala globale: il coordinamento della produzione e della distribuzione fuori dalle coordinate del mercato”, scrive il filosofo Slavoj Žižek in "Virus" (l'edizione italiana è di Ponte alle Grazie), un ebook costantemente aggiornato che raccoglie le riflessioni dell'autore durante la pandemia.
Ma attenzione: a differenze del liberalismo classico, con la sua "mano invisibile del mercato", il neoliberismo si è caratterizzato per essere un sistema economico e sociale imposto proprio dalle leggi e dalle norme statali e degli organismi sovrastatali. L'egemonia neoliberale si è imposta a livello globale in contesti economici e sociali diversi tra loro "grazie" e non "nonostante" lo stato. Troppe volte il neoliberismo è stato dato per spacciato. Quel che però è certo è che le differenze di interesse tra le vite di milioni di lavoratori, disoccupati, precari e i profitti delle imprese è diventato a volte drammatico, così come gli effetti di dismissione del welfare e delle politiche pubbliche, soprattutto in campo sanitario.
Intanto la crisi che stiamo attraversando una cosa ce l'ha insegnata: fermare tutto, anche la produzione, in nome di un interesse comune, in questo caso la salvaguardia della salute collettiva, è possibile. Un insegnamento che nel futuro prossimo potrebbe essere particolarmente prezioso. La mobilitazione collettiva in cui siamo impegnati, che non potrebbe funzionare senza l'adesione e la scelta individuale di ognuno di noi, può essere la prova generale per cambiare ad esempio modello di sviluppo? Se interrompere la normalità è possibile per salvaguardare la salute collettiva, perché non dovrebbe esserlo per contrastare i cambiamenti climatici ad esempio? Anche in questo caso dovremmo mettere in discussione i nostri comportamenti individuali, i nostri consumi, ma soprattutto dovremo ripensare repentinamente le priorità a cui orientare lo sviluppo.