“Finendo di cercare me, che fate ora?”: la “sfida” di Messina Denaro a pm e Ros nell’ultimo interrogatorio
"Non avremmo finito mai di cercarla". Se la ricordava molto bene questa frase Matteo Messina Denaro: gliel'aveva detta il colonnello del Ros Lucio Arcidiacono il giorno del suo arresto, il 16 gennaio del 2023. E nel suo ultimo interrogatorio del 7 luglio al boss di Castelvetrano è ritornato alla mente quel momento.
La scorsa estate in una delle stanze del carcere de L'Aquila Messina Denaro aveva incontrato ancora il colonnello Arcidiacono. Questa volta non era accompagnato dai suoi uomini delle CrimOr e del Gis, ma dai procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ovvero l'aggiunto Paolo Guido e i sostituti Pierangelo Padova e Gianluca De Leo.
La provocazione di Matteo Messina Denaro durante l'interrogatorio
Il boss aveva detto così, poco più di due mesi prima di morire, al colonnello e ai procuratori: "Quando mi hanno preso, lui (ovvero il colonnello Arcidiacono) mi disse, con un piglio di – come quando mia madre diceva, che l'ho ascoltata in qualche cosa, che era orgogliosa che non erano riusciti ad arrivare a mio padre vivo, diceva, era motivo di orgoglio per lei, nella morte di mio padre – e lui mi disse, con lo stesso piglio di mia madre: ‘Non avremmo finito mai di cercarla', ma io lo…se la ricorda ‘sta frase?".
E qui immaginiamo il colonnello aver annuito. Ma alla fine Messina Denaro andando avanti a parlare nell'interrogatorio è sembrato quasi che sfidasse il comandante del Ros: "…ma io questo lo sapevo, anche perché finendo di cercare me, a chi dovevano cercare? Fatemi capire: che fate ora?".
Subito dopo queste parole del boss era intervenuta la sua avvocata: "Va beh, non mi sembra che si siano rasserenati". A questo punto invece era intervenuto il colonnello Arcidiacono a rassicurare boss e avvocato: "Siamo serenissimi". Mentre il procuratore Guido aveva tenuto anche lui a precisare: "Lo siamo sempre stati".
Le indagini dei carabinieri e Procura dopo l'arresto del boss
Il lavoro su Matteo Messina Denaro dei carabinieri e della Procura non si è mai fermato, neanche dopo l'arresto e la morte del boss. Si cerca ancora il suo covo economico, si stanno ripercorrendo i suoi 30 anni di latitanza cercando di capire chi lo abbia aiutato. Ma dove si nascondeva Matteo Messina Denaro?
Per anni il boss di Cosa Nostra ha cercato la fuga all'estero: tornava a Campobello di Mazara, a casa sua, per poi ripartire. Ma per la maggior parte della sua vita il boss è rimasto nella sua Sicilia. Sempre durante il suo interrogatorio ha raccontato di visite dentistiche e sedute dal tatuatore a Palermo. Prima di scoprire del tumore al colon che lo ha costretto a un primo ricovero all'ospedale di Mazara del Vallo.
Matteo Messina Denaro aveva scelto di nascondersi tra i suoi concittadini, come "un albero piantato in mezzo alla foresta". Concetto spiegato a Fanpage.it anche dal procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia: "Quando Messina Denaro dice che il modo migliore per nascondersi è essere come un albero nella foresta in qualche misura dice una cosa vera, perché è la cosa migliore per nascondere un bene. Ma lo ha fatto in un contesto particolare, nel senso che gli altri alberi sapevano che c'era un albero ‘anomalo'. Così come è chiaro che attorno a lui c'è una parte di popolazione indifferente, una parte complice e una parte fortemente intimidita".
Ecco che cosa hanno fatto carabinieri e Procura una volta arrestato il boss più ricercato d'Italia: hanno provato a risalire a quella foresta e a capire chi degli "alberi" sapesse dell'esistenza di quell'albero "anomalo". Da allora tanti fedelissimi di Messina Denaro sono finiti in manette.