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Fiat Pomigliano, il vescovo al direttore: “Alla chiesa interessano i salari degli operai”

Il direttore dello stabilimento aveva attaccato il vescovo di Nola, che aveva manifestato a fianco agli operai fuori dai cancelli della fabbrica.
A cura di Davide Falcioni
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Non si è fatta attendere la replica del vescovo di Nola alle accuse mossegli contro da Giuseppe Figliuolo, direttore dello stabilimento Fiat di Pomigliano D'Arco, che in una lettera aperta aveva attaccato monsignor Beniamino De Palma per la sua partecipazione a una manifestazione degli operai fuori dai cancelli della fabbrica. Il dirigente del Lingotto aveva accusato il vescovo di "parteggiare per i violenti che impedivano ad altri operai di recarsi sul posto di lavoro". Ebbene, oggi dalle pagine de Il Mattino è arrivata prontamente la risposta del monsignore. "La gravità dell’accusa che mi viene rivolta – spiega il prelato – pretende una risposta altrettanto pubblica. No, dottor Figliuolo, io non sto dalla parte dei violenti, né volontariamente né, come dice lei, involontariamente. Le dirò di più: la Chiesa non conosce la parola contro, né tantomeno, nelle vicende sociali, assume posizioni pregiudiziali a favore dell’una o dell’altra parte. Un vescovo, un pastore, non è un dirigente d’azienda: quando vede e sente uomini gridare, ha l’obbligo morale di andare a vedere e sentire con i suoi occhi e con le sue orecchie. Non può girare la faccia, non può fare calcoli prudenziali, non può pensare al proprio tornaconto. Deve andare. È suo preciso dovere esserci, perché nessun uomo e nessuna donna possa dire ‘sono rimasto solo'". Infine, la stoccata: "Opera davvero violenza chi nega la speranza negando prospettive di futuro alle persone e alle famiglie. Dottor Figliuolo, egregio direttore: la Chiesa ha una sola preoccupazione: che le famiglie non perdano il salario. E proprio perché conosco la complessità dei problemi, ho spesso incoraggiato le organizzazioni dei lavoratori a dare credito e fiducia ai piani dell’azienda".

Contestualmente alla replica del vescovo è arrivata quella di un operaio, Tommaso Pirozzi, che si rivolge sempre al direttore dello stabilimento Figliuolo: "E' con stupore – scrive – che leggo sul Mattino la sua missiva, che identifica in chi protesta e sciopera, per rivendicare il diritto a lavorare e a non essere discriminato, come violento. Dopo oltre 24 anni di lavoro in quest’azienda, ho contribuito insieme a tutti i lavoratori a renderla forte e produttiva. Voglio presentarmi, perché come mia abitudine ho sempre sostenuto le mie posizioni mettendoci la faccia, sono Pirozzi Tommaso, operaio di Fiat Auto, trasferito per vostra volontà al polo logistico di Nola: orgoglioso di esserlo, di aver sempre lavorato con diligenza, e soprattutto per non aver mai abbassato la testa per elemosinare ciò che mi spetta di diritto e contratto. So che lei mi conosce. Il suo predecessore il dottor Garofalo insieme al capo del personale e al mio, all’ora Repo, vennero a trovarmi in ospedale, subito dopo il mio gravissimo incidente, dichiarandomi il loro sostegno in caso di necessità, cosa che io garbatamente rifiutai. Oggi lei identifica noi lavoratori estromessi dal ciclo produttivo, che continuiamo a subire violenza da oltre quattro anni, come violenti. Mi chiedo, le chiedo, chi è violento? Noi che difendiamo il nostro posto di lavoro, la nostra unica possibilità di sopravvivenza, per noi e le nostre famiglie, o voi che con i vostri falsi piani industriali, ci costringete a tali azioni? A differenza sua io non cerco di dividere i lavoratori. Noi tutti siamo parte integrante di quella fabbrica, e la difenderemo e ci difenderemo con le unghie e con i denti, anche contro chi tenta di delocalizzare le fabbriche italiane. Voglio ricordarle che secondo un dossier presentato in parlamento da parte dello Slai-Cobas, comitato mogli operai e da alcuni lavoratori per chiedere una commissione di inchiesta parlamentare, sono oltre 7,5 miliardi di euro che la Fiat ha ricevuto in questi anni per rilanciare l’occupazione e il lavoro".

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