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Opinioni

Femministe, smettetela di occuparvi del velo delle musulmane

La narrazione sul nemico musulmano ha il suo migliore protagonista nel velo (hijab) portato da alcune donne. Spesso confuso con i veli integrali (niqab e burqa) è diventato anche per molte femministe un tema morboso. Una giovane scrittrice egiziana dice “femministe basta scrivere sul velo. Dietro ci sono solo capelli. Parliamo dei problemi reali delle donne”.
A cura di Sabina Ambrogi
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Donna con una particolare foggia di hijab.
Donna con una particolare foggia di hijab.

“ Volete sapere cosa c'è dietro il velo? I capelli. ”
Ethar El-Katatney
Non tutte le donne musulmane vivono la libertà del proprio corpo e del proprio agire. Non riguarda ovviamente solo le donne musulmane, ma oggi è l'Islam nella sua pericolosa amalgama con Isis, terrorista e migrante, a essere centrale nel dibattito pubblico. Di questa evidenza siamo informati praticamente ogni giorno. Si è spesso detto in modo molto generico che l'arretratezza di alcuni musulmani potrà essere spazzata via grazie a una rivoluzione femminile per smarcarsi dal patriarcato che le opprime. Liberandosi, si aprirebbe la via alla modernizzazione di molti paesi a prevalenza musulmana. Una libertà auspicabile ovviamente, ma la stessa considerazione si potrebbe fare per le donne e il cattolicesimo, con la stessa disinvoltura che si usa quando si generalizza.

E si può fare un'altra amalgama ancora più infernale usando il femminismo. Una parte ottusa di questo si dedica con acribia a commentare e scandalizzarsi ora del velo, ora dell'abito lungo, ora dell'oppressione. Indistintamente, con uno sguardo da eterno colonialista in disarmo, perpetuando il gesto che fece Daniela Santanché alcuni anni fa quando strappò il velo a una donna in preghiera durante il Ramadan, a Milano. Come è noto qualcuno le diede un ceffone, e lei si fece dare la scorta. Su questo strumentale metodo di liberazione della donna musulmana ci sguazzano benissimo giornali di destra che non fanno che invocare “e le femministe dove sono?”. Il che ha dell'incredibile: dopo averle criticate, osteggiate, ridotte a una banda scomposta di donne frustrate, vecchie e brutte le invocano perché si uniscano alla loro lotta, per nulla condivisibile: la creazione del nemico Islam, trasformando così una guerra tutta politica in crociata religiosa.

E siccome i media hanno bisogno di simboli e semplificazioni, il mondo intero sta attribuendo all'hijab (ossia al fazzoletto in testa, diverso dal niqab e dal burqa ben più costrittivi e che nascondono l'identità) tutti i significati possibili e immaginabili. Con conseguenze che non fanno che scavare divari. Una hostess delle United airlines ha rifiutato di consegnare una lattina chiusa a una donna velata, Tahera Ahmad, perché avrebbe potuta usarla come arma”. La storia è rimbalzata sui social con #UnitedForTahera, creando un grave danno di immagine alla compagnia. Così, un'altra giovane donna velata si è vista rifiutare il lavoro dal negozio di Abercombie & Fitch, che è poi è stato condannato dalla Suprema Corte. L'Arab American Civil Rights League ha sporto querela perché una donna musulmana è stata obbligata a togliersi l'hijab quando, mentre guidava la sua auto, la polizia l'ha fermata.

Dall'altra parte c'è invece il mercato che fiuta l'affare: si stanno producendo hijab da nuoto, e per ogni tipo di sport, sempre più glamour, e sempre meno costrittivi, di tessuti impermeabili, leggeri e alla moda. Per alcuni è espressione di modestia e liberazione, per altri rappresenta ingiustizia e oppressione. Inoltre, se ormai l'hijab viene associato all'Islam, va sempre ricordato che le altre religioni monoteiste giudaismo e cristianesimo, menzionano nei testi il “fazzoletto” e in alcuni casi le donne sono “costrette” o indotte dall'usanza a farlo. Le nostre nonne portavano fazzoletti. E le suore cattoliche, per fare ancora un esempio. Come anche le donne ebree ortodosse. L'hijab nella storia è stato portato per diverse ragioni. Un tempo era segno di status sociale elevato, e di diversità dalle prostitute alle quali non era permesso indossarlo. In alcune regioni è stato indossato dalle contadine come simbolo della loro fede, ma soprattutto per difendersi dal sole. Dopo le primavere arabe ha avuto perfino un significato rivoluzionario: dittatori come il tunisino Ben Ali, che compiacevano l'occidente all'esterno e opprimevano il loro popolo all'interno, avevano limitato l'uso del velo per le donne, per non far sembrare nessuno troppo “islamista”. Invece, proprio dopo la rivoluzione le giovani donne, si sono cominciate a velare, come simbolo di libertà dall'oppressione del dittore.

Ma emblematico è stato lo sfogo di una giovane scrittrice egiziana Ethar El-Katatney che vive attualmente in America, giornalista pluripremiata, laureata con master, femminista, globtrotter, e anche scrittrice. Già qualche tempo fa rivolgendosi alle femministe disse: "Per favore smettete di scrivere libri con titoli “Cosa c'è dietro al velo”. Vi voglio salvare dallo scrivere le stesse cose e lo stesso libro. Volete sapere cosa c'è dietro il velo? I capelli! Ora potremmo andare avanti? Non nego che ci siano donne nel mondo che siano forzate a portare il velo, ma è probabile che siano forzate a fare anche altro e spostare l'attenzione sul velo è riduttivo e non fa capire il punto. Le donne nel mondo subiscono discriminazioni e violenze. Non c'entra la nazionalità, la fede, e la razza”

Qualche giorno fa ha ripreso lo stesso argomento ancora. “Avevo denunciato pubblicamente le frasi oscene che avevo ricevuto da un professore americano, le stesse che una donna in Egitto riceve per strada. Quando ho lasciato il teatro hanno detto: ma non si vergogna a dire queste cose, lei che è velata?". E ancora, in un recente convegno davanti a persone di 40 nazionalità diverse, un uomo ha alzato la mano e ha detto ‘vi stiamo facendo un favore a togliervi quel simbolo dell'oppressione dalla testa'. "Portare l’hijab è difficile. Lo è davvero. Ci sono giorni in cui vorrei toglierlo, altri in cui vorrei semplicemente essere come gli altri. Non voglio essere diversa. Il fascino morboso riguardo l’hijab è una follia. Sotto il velo. Dietro il velo. Togliere il velo alle donne musulmane. Lasciate stare. Non dovete capire perché lo indosso. Ci sono così tante altre cose su cui scrivere”.

[Foto di Herman Yahaya]

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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