I giudici del caso Cecchettin: “La crudeltà di Turetta non è dimostrabile, abbiamo applicato la legge”

La sentenza che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin continua a far discutere, soprattutto dopo la pubblicazione, nei giorni scorsi, delle motivazioni. Al centro delle polemiche c’è soprattutto l’esclusione dell’aggravante della crudeltà, una scelta che i giudici della Corte d’assise di Venezia hanno però deciso di difendere con fermezza in un'intervista rilasciata a Repubblica: "Abbiamo applicato la legge, anche se non tutti la condividono. La crudeltà, in senso tecnico, non è stata provata oltre ogni ragionevole dubbio". È questa la ragione per cui non è stata riconosciuta come aggravante.
I magistrati chiamati a giudicare il caso non sono certo degli sprovveduti; si tratta, anzi, di giuristi con una lunga esperienza in materia penale. Stefano Manduzio, presidente della Corte, e Francesca Zancan, giudice estensore delle motivazioni, hanno precisato che l’esclusione dell’aggravante non implica che l’imputato non sia stato crudele nel senso comune del termine, ovvero nella connotazione "etica" o "morale" adottata comunemente, ma che nel caso di Turetta non sono stati soddisfatti i rigorosi criteri giuridici richiesti dalla Cassazione per configurarla.
In più passaggi della sentenza l’omicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023 a Fossò, in provincia di Venezia, è stato descritto come "efferato e cruento". Tuttavia secondo i giudici non è emersa la volontà specifica di infliggere sofferenze gratuite alla vittima. "Non si tratta di sminuire la gravità dell’azione – spiegano – ma di rispettare parametri oggettivi e consolidati". L’atto violento di Turetta, sottolineano, non è stato mosso da un intento di tortura o sadismo.
Nel dispositivo, infatti, si legge che Turetta "non aveva l’esperienza o la lucidità per colpire in modo letale con precisione", e che le 75 coltellate inferte non sono, da sole, prova sufficiente dell’aggravante: "La crudeltà, per essere riconosciuta, deve emergere da un’intenzione manifesta di aumentare la sofferenza della vittima". E non sarebbe, secondo i giudici, questo il caso.
Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha espresso sui social profonda amarezza per la decisione e ha definito la motivazione "un terribile precedente". "Se nemmeno un numero di coltellate così elevato viene considerato crudeltà e viene definito ‘inesperienza', abbiamo un problema – ha scritto nelle sue storie Instagram -. Perché se una persona che stila una lista operativa su come uccidere una persona per poi compierla diligentemente, riesce a fuggire dalle forze dell'ordine per una settimana per poi essere catturato solo nel momento in cui si ferma autonomamente è ‘inesperto', allora si può dire chiaramente che non ci importa della vita umana, della vita di una donna".
I giudici, tuttavia, rivendicano la correttezza della sentenza, che si fonda su un orientamento giurisprudenziale consolidato. "Non abbiamo riscritto le regole – dicono – le abbiamo applicate nel rispetto della legge e della giurisprudenza". La Procura di Venezia, che aveva contestato l’aggravante, valuterà ora se ricorrere in appello.