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Omicidio Giulia Cecchettin

Femminicidio Cecchettin: perché è grave non sia stato riconosciuto a Turetta lo stalking come aggravante

“Vorrei non avere più contatti con lui, vorrei fortemente sparire dalla sua vita”: con queste parole Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex Turetta poi condannato all’ergastolo, spiegava la persecuzione ossessiva a cui era sottoposta. Non riconoscere lo stalking è pericoloso per tutte quelle donne che oggi si trovano nella sua stessa condizione.
A cura di Margherita Carlini
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Giulia Cecchettin
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La Corte d’Assise di Venezia ha condannato all’ergastolo Filippo Turetta per il femminicidio della sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, escludendo l’aggravante dello stalking oltre a quella della crudeltà, contestate dalla Procura.

Elena, la sorella di Giulia, ha commentato questa decisione, affermando che il non riconoscimento dello stalking viola la dignità di Giulia e della sua famiglia, di coloro cioè che hanno subito i comportamenti ossessivamente controllanti di Turetta prima del femminicidio. Quando Giulia era ancora in vita. “Sei vittima solo se sei morta” sono state le sue parole.

Sarà fondamentale leggere le motivazioni per comprendere le ragioni che hanno portato la Corte a questa decisione, anche se credo sia possibile formulare delle ipotesi seguendo quello che è l’orientamento nazionale in termini di riconoscimento e condanna di questo fenomeno.

Va premesso che i comportamenti persecutori vengono riconosciuti come reato solo nel 2009, andando ad includere in tale tipologia due macro aree di condotte, una che comprendeva atti già riconosciuti come reato (la violazione di domicilio, le minacce, le aggressioni …) e una che teneva in considerazione invece una serie di comportamenti posti in essere per limitare o condizionare la libertà di un’altra persona, che fino a quel momento erano socialmente legittimati (fare doni non richiesti, inviare messaggi non richiesti, fare appostamenti, presentarsi nei luoghi frequentati dalla vittima anche quando questa non lo desidera …).

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Affinché il reato sussista è importante inoltre che tali comportamenti suscitino nella persona offesa un perdurante stato di ansia, di paura e un mutamento delle sue abitudini di vita. Nella maggior parte dei casi, sebbene esistano diverse tipologie di stalker in base alla motivazione che sottende il comportamento agito, chi perseguita è un ex partner. In questi casi il comportamento persecutorio è specificatamente volto al mantenimento di un contatto con la parte offesa e di un controllo sulla sua sfera personale.

Questa tipologia di stalker sono quelli che pongono in essere la gamma più vasta di comportamenti persecutori con un’escalation significativa, in termini di gravità e frequenza, proporzionale alle risposte negative che ricevono dalla vittima. Sono la categoria di persecutori ai quali è più frequentemente associato il rischio di letalità per le vittime. La correlazione tra questo reato e il rischio di vita per la vittima è comprovata anche dalle casistiche, sono moltissime infatti le vittime di femminicidio che avevano denunciato per stalking quello che sarebbe diventato il loro assassino.

Ciò nonostante, in base alla mia esperienza professionale, spesso le denunce per stalking presentate dalle parti offese, vanno incontro ad archiviazione o ad assoluzione perché non si riesce a comprovare il turbamento emotivo sofferto dalla vittima o perché questa ultima resta in contatto con il suo persecutore. Non comprendendo come il comportamento ambivalente tenuto dalla parte offesa sia prima di tutto la prova della sussistenza di una relazione maltrattante pregressa all’attività persecutoria e che la scelta della vittima, nella maggior parte dei casi donna, di mantenere un contatto con il suo persecutore sia una strategia di sopravvivenza che la stessa sviluppa nel tentativo di contenere le condotte aggressive. Condotte che spesso acuiscono sensibilmente nel momento in cui il contatto viene meno.

Non possiamo perdere di vista che, dall’analisi delle dinamiche di relazione tra Giulia e Turetta, questo ultimo abbia concretizzato il suo progetto omicidiario dal momento in cui la ragazza ha provato a sottrarsi al suo controllo ossessivo (togliendogli la buonanotte, scegliendo di gestirsi degli spazi autonomi con le proprie amiche e iniziando a sentirsi con un altro ragazzo).

Pertanto la scelta di Giulia di mantenere un rapporto “amicale” con Turetta appare oggi, soprattutto alla luce dell’epilogo che questa vicenda ha avuto, una corretta strategia che la stessa aveva posto in essere. Una condotta la sua, estorta, va detto, anche attraverso il ricatto emotivo che lo stesso le perpetrava da mesi attraverso le minacce di farsi del male. “Lui mi viene a dire che è super depresso, che ha smesso di mangiare, che passa le giornate a guardare il soffitto, che pensa solo ad ammazzarsi, che vorrebbe morire”, raccontava Giulia alle sue amiche.

Anche per questo appare evidente come Giulia abbia vissuto gli ultimi mesi della sua vita condizionata dalla morsa del controllo ossessivo del Turetta, che la limitava nella sua quotidianità, tanto da portarla a decidere di omettere di dirgli delle cose. Decisione presa da Giulia per la sua sicurezza, come comunica lei stessa in un audio a Turetta. Giulia pertanto aveva paura, tanto da condizionare il suo modo di essere e di vivere in funzione e in previsione delle reazioni del Turetta e, per altro, viveva in un perdurante stato d’ansia.

È la stessa Giulia a dirlo, come in un lascito testamentale, attraverso quel vocale che invia alle sue amiche, in un passaggio in cui riferisce di essere al limite di un “esaurimento nervoso” perché non sa come uscire da questa situazione, tanto da desiderare di voler sparire dalla sua vita. Appare evidente pertanto che Giulia fosse da mesi, da quando cioè aveva deciso di interrompere la relazione con Turetta, stretta da una morsa ossessiva e persecutoria, una persecuzione che l’aveva portata a sentirsi disperata, dalla quale ha provato a sottrarsi con le modalità che ritenute più opportune. Un tentativo che è corrisposto con la sua condanna a morte.

Il non riconoscimento della sussistenza di queste condotte persecutorie nega la sofferenza patita da Giulia, di cui la stessa ha lasciato ampia testimonianza e rafforza un orientamento che fatica a recepire la stretta correlazione tra il reato di stalking e il rischio di letalità per la persona che lo subisce. Una ulteriore mancanza nei confronti di Giulia, ma anche una atteggiamento pericoloso per tutte quelle donne che oggi si trovano nella sua stessa condizione.

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Sono Psicologa Clinica, Psicoterapeuta e Criminologa Forense. Esperta di Psicologia Giuridica, Investigativa e Criminale. Esperta in violenza di genere, valutazione del rischio di recidiva e di escalation dei comportamenti maltrattanti e persecutori e di strutturazione di piani di protezione. Formatrice a livello nazionale.
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