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Alessandra Matteuzzi uccisa a Bologna, ultime news

Femminicidio Alessandra Matteuzzi, perché l’assassino ha usato un martello e una panca come armi

Giovanni Padovani ha ucciso Alessandra Matteuzzi colpendola con una panca di ferro e un martello perché voleva annientarla e dare seguito a quello che viene definito “istinto di distruzione”
A cura di Anna Vagli
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Negli ultimi giorni si discute serratamente circa l’evitabilità di certi tipi di reato. Al centro del dibattito il femminicidio di Alessandra Matteuzzi, 56 anni, compiuto per mano dell’ex compagno Giovanni Padovani, che di anni ne ha 27. Un uomo che soltanto un mese prima era stato gravato da una denuncia per stalking e che si era macchiato di condotte che certamente avrebbero dovuto attivare una rete di protezione intorno alla donna. Una rete che non è stata attivata nonostante la vigenza del codice rosso.

Il tema è politico, culturale, giuridico e chiama in causa non tanto e non solo le misure restrittive, ma, a mio avviso, anche la certezza della pena. Al di là dei commentatori che a vario titolo si stanno pronunciando sul tema, bisognerebbe partire dall’assunto che non si discute di “violenza in genere”, ma di “violenza di genere”. Dunque, di quegli abusi che hanno ad oggetto donne in quanto donne. Vittime della furia omicida di chi diceva di amarle. Padovani aveva in precedenza messo lo zucchero nel serbatoio dell’auto di Alessandra, le aveva tagliato le gomme della macchina e le aveva sottratto le chiavi di casa.

In ultimo, poi, l’ha uccisa a colpi di martello e panca di ferro. Mezzi che in letteratura criminologica hanno un significato niente affatto casuale. Nulla a che vedere, quindi, con la legittima difesa paventata dall'ex calciatore per tentare di eliminare l'aggravante della premeditazione. Un dato che appare incontrovertibile considerato che l'uomo aveva nascosto l'arma dietro ad un albero sotto il porticato. Proprio come si fa quando si tende un agguato. E non quando si vuole solo parlare.

Come anticipato, Giovanni Padovani ha utilizzato un martello ed una panca di ferro per uccidere la sua ex compagna. Non solo tale impiego conferma una rabbia non arginata e non arginabile dell’uomo, ma anche – e forse soprattutto – la sua crudeltà. Crudeltà che, in un contesto di femminicidio, si configura come quello che in gergo tecnico viene definito “istinto della distruzione”.

Nello specifico, non è sufficiente per l’assassino uccidere, ma diventa vitale che la donna alla quale toglie la vita soffra più a lungo e quanto più possibile. Una crudeltà che, allo stesso tempo, si traduce in piacere per chi la applica. Un piacere che, poi, in concreto si traduce in vigliaccheria che consiste nel torturare la donna.

Il fatto che Padovani abbia provato piacere ad annientare l'ex compagna avvalendosi di martello e panca di ferro è ulteriormente confermato dalla pacatezza con la quale l'uomo ha atteso sulla scena del crimine l’arrivo delle forze dell’ordine. E lo ha fatto per autocompiacimento e per la necessità impellente di assistere alla reazione di coloro i quali a vario titolo sarebbero intervenuti sul luogo.

Diversamente, con una fuga o costituendosi, non si sarebbe sentito pienamente appagato, gratificato per quanto commesso. Come tutti gli assassini, anche l’ex fidanzato di Alessandra non ha fatto eccezione. Doveva porsi come vincitore a fianco della sua vittima, dal momento che si sentiva un perdente nella vita di tutti i giorni. Perdente perché, come da copione, una donna aveva osato lasciarlo. Autorizzandolo così, nella sua visione distorta, ad ucciderla.

In questo scenario, sicuramente la personalità di Padovani presenta tratti fortemente narcisistici. Più nel dettaglio, il fatto di aver lasciato Alessandra in una posa degradante testimonia il radicato disprezzo che nutriva nei suoi confronti. La mente di chi si macchia di un simile reato è paragonabile ad un magma. Una sorta di buco nero dove si può trovare di tutto e di più. Nessun caso psichiatrico, anche se è agevole pensare che il legale si adopererà – rientrando nel pieno diritto alla difesa – per farlo periziare.

La volontaria e lucida scelta di uccidere risulterebbe a mio avviso ulteriormente avvalorata dai racconti relativi ai primi giorni di detenzione. Difatti, l’uomo è stato visto mangiare alla mensa di buon umore e con appetito. Dunque, senza mostrare alcun segno di pentimento né di disperazione. Soltanto un silenzio assordante davanti al gip per la convalida. D’altronde, Padovani ha raggiunto il suo obiettivo: uccidere e lavare con il sangue il torto subito. L'ultima colpa di Alessandra era stata quella di aggiungere sui social alcuni amici di Giovanni.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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